Se dalle parti di Milano c’è l’apoteosi dei paesi che finiscono in “ate”, Agrate, Baranzate, Pantigliate, tra Brescia e il lago di Garda abbiamo una discreta densità di “olo”: Marmirolo, Vaccarolo, Vighizzolo. Quest’ultimo, in verità, più che un paese è una frazione di millecinquecento abitanti, sparpagliati tra la breve strada principale e le cascine del circondario. Siamo nel comprensorio della ben più nota Montichiari, patria di Aldo Busi, di una Fiera sempre più frequentata (agricoltura, antiquariato, nautica), di un noto mercato del bestiame, di una Madonna miracolosa che attira pullman di fedeli e di un aeroporto nuovo di zecca, invocato per anni dagli industriali bresciani. Il paesaggio non è granché: lo sviluppo economico e viario ha stravolto la piatta orografia, fino a qualche anno fa interrotta solo dal profilo di una collina naturale con in cima un finto castello medievale dei primi del ‘900, e da alcuni dossi artificiali su cui sorgono le villette dei locali benestanti. L’allargamento dei padiglioni della Fiera, un reticolo di tangenziali, vie di scorrimento, soprappassi affiancati da bizzare architetture di hotel, motel e centri commerciali, hanno definitivamente alterato quelle forme non esaltanti, tuttavia semplici e confortevoli, da paesone agricolo dell’afosa pianura padana. Dove, fino a poco fa, ricordavi una cascina con la sua strada sterrata, ora c’è lo sterminato e sempre pieno parcheggio di un lap-dance bar, e dove esisteva un’unica strada dritta oggi t’innesti in quelle rotatorie dove si finisce per scegliere sempre l’opzione sbagliata. Tuttavia, in un mondo di creperie, ristoranti cinesi, pub ed ex trattorie che si sono date una “ripulita” e ora propongono la solita bistecca di tonno, l’insalata di polpo, il branzino coi porcini, la trattoria Rosy di Vighizzolo è un’oasi e per fortuna non un miraggio, uno di quegli indirizzi che quasi ti dispiace divulgare, e però sono gestiti in modo talmente incorruttibile da potersi permettere il rischio d’esser pubblicizzati. La fine più ipotizzabile è piuttosto nell’esproprio del locale per costruire la terza corsia della minitangenziale o la succursale bis della Fiera, o per sopraggiunta stanchezza della signora Rosy che gestisce la trattoria dal ’55, aiutata dalla sorella Esterina.
Procediamo con ordine: superati i depistaggi neourbanistici, poco dopo la Fiera di Montichiari in direzione dell’aeroporto Gabriele D’Annunzio, una freccia indica Vighizzolo. Un’unica strada, con le case a fiancheggiarla e lontano, sullo sfondo, i crateri delle cave di marmo Botticino. Ancora qualche centinaio di metri, e si è arrivati: l’insegna anonima è dal lato opposto, e nulla lascia presagire un esercizio pubblico: niente vetrina o tavoli esterni. All’ingresso, un gradino sotto il suolo stradale, c’è il bancone del bar, e qualche tavolo in formica dove pensionati e agricoltori locali giocano a carte e bevono uno “specialino” dopo l’altro (vino bianco con acqua e bitter Campari). L’atmosfera è piuttosto buia, i soffitti bassi e a volta, le pareti rivestite di piastrelline e il pavimento in graniglia. Sul retro una saletta che si riempie per il pranzo dei giorni lavorativi, e dove viene indirizzata quella clientela – operai, agricoltori, dipendenti delle ditte vicine – che vuol mangiare molto, cibi sostanziosi e tradizionali, spendendo poco. Dei tagliolini con zucchine e scampi non saprebbero che farsene, mentre al capretto con polenta o allo stracotto d’asino non sanno rinunciare. C’è poi un’altra sala con sei tavoli, rinnovata e col pavimento in cotto, sempre incassata rispetto alla strada: lì viene accomodata la clientela dei vecchi estimatori della trattoria. Pochi ragazzi, e diverse coppie su d’età, il notaio in pensione con la mamma centenaria, l’industriale bresciano annoiato di gualtierimarchesi e loro emuli, qualche politico, e qualcuno che uscendo dalla Fiera è riuscito a farsi indirizzare nel posto giusto. Esterina, sempre in ordine, col rossetto e la collana di perle, è addetta alla pasta. Ogni giorno fa tagliatelle, tagliolini, ravioli di carne e di zucca. La sfoglia è sottilissima, le giunture lievi, il ripieno di carne è saporito mentre quello di zucca è più sobrio della variante mantovana: probabilmente non viene aggiunta la mostarda di cotogne. Rosy, indomita settantaseienne, si occupa della cucina, degli acquisti e visita i clienti ai tavoli. La si riconosce per via dello chignon alla Ave Ninchi, e degli ampi occhiali fumé, tipo quelli della Loren. Maniaca della qualità della carne e del prosciutto crudo, Rosy è attentissima negli acquisti. Certo, il menu non è dei più variati, e, a parte certe ricorrenze (ogni venerdì il baccalà alla bresciana, cioè in umido rosso con patate) o certe stagionalità (la stagione delle lumache o quella dei funghi), i piatti cucinati sono da sempre gli stessi. La carne ai ferri, il carpaccio di filetto (e non di girello come nella maggior parte dei ristoranti), le crostate fatte in casa. Ma chi non avesse occasione di mangiare spesso da queste parti è sui ravioli che deve puntare, perché una combinazione così raffinata di levità della pasta e consistenza del ripieno è ormai difficile da trovare persino nella specializzata confinante provincia di Mantova. Il conto, senza privarsi di nulla, chiedendo assaggi anche di quello che non s’è ordinato, è sui 30 euro a testa.
Trattoria da Rosy, Montichiari (BS), località Vighizzolo, tel. 030 961010