Camilla Baresani
Indirizzo: Viale Principi di Piemonte 3, Torre a Mare, Bari
Telefono: 080 5430043
Sito web:
Prezzi: 35€

Sommario

Torre a Mare (BA) – Ristorante Nicola

- Il Sole 24 ore - Domenica - Puglia Ristoranti

A Torre a Mare, undici chilometri da Bari, nell’unica aiuola di Piazzetta Mar de la Plata (ho chiesto a cosa sia dovuto, lì, un nome così esotico: ma non hanno saputo spiegarmelo), da qualche mese svetta la statua di un pescatore nudo, dal fisico tornito, ai cui piedi giace un grande polpo di scoglio (riconoscibile per la doppia fila di ventose, laddove i polpi di paranza ne hanno una sola). La statua non è che una copia dell’originale, fuso durante l’ultima guerra: ma la gente del luogo sostiene che l’artista cui è stata commissionata, colto da un attacco di irrefrenabile gratitudine, abbia dato al pescatore “la capa mozzata” del sindaco”. Cioè gli abbia appioppato le medesime sembianze del primo cittadino. La piazzetta sfuma in un grande parcheggio sterrato, sotto al quale c’è lo specchio d’acqua del porticciolo, zeppo di barche di pescatori. Qui si trova Nicola, ristorante molto noto tra i baresi amanti dei frutti di mare crudi, e frequentato soprattutto da maschi. Le tavolate di soli uomini si sprecano, e un’amica – avvocato e figlia di magistrato (“mio padre era un grande apritore di cozze”) – mi spiega come mai: la mangiata di pesce crudo è tradizionalmente l’occasione per chiacchierare di affari, per suggellare patti commerciali e alleanze politiche (Nicola è molto frequentato durante le campagne elettorali e in occasione della Fiera del Levante). Inoltre, nella mentalità tradizionale, la donna che mangia frutti di mare crudi dà uno spettacolo sconveniente. Divorare cozze nere (dal sapore dolce e metallico), cozze pelose (un gusto più amaro), noci (i tartufi di mare) e taratufi (spugne di mare) è “un gesto machista”: l’uomo lo fa ostentatamente, per dare un segno di vitalità, sfidando il tifo, il colera e l’epatite, malattie che da sempre in Puglia sono ritenute più endemiche che epidemiche. Entrando da Nicola si rimane colpiti dalla bruttezza dell’ambiente illuminato con tubi al neon, dal kitsch disordinato in un’atmosfera fervida, nel volteggiare continuo di piatti di portata. Prima di sedersi bisogna scendere al casotto esterno, quasi a pelo dell’acqua, per commentare e scegliere il pesce. Vecchietti grinzosi in giacca a vento, berretto e grembiule, aprono e sgusciano frutti di mare e scampi, puliscono seppioline (da mangiarsi crude), illustrano i pesci esposti. Fa impressione la nettezza del gesto con cui, in tre o quattro secondi, riescono ad aprire le cozze e a staccarne il frutto: un movimento senza sbavature, sempre uguale. Una volta fatta la scelta, si torna nel ristorante passando davanti alla grande cucina a vista, dove gli addetti friggono senza sosta sotto l’occhio scaltro della madre del gestore. Va detto che la cucina barese è all’insegna degli antipasti: se una persona di appetito robusto assaggia tutto quello che viene portato in tavola, è difficile che arrivi a ordinare il primo. Olive verdi nella calce, grasse e delicate (secondo me le migliori), melanzane fritte in pastella di formaggio pecorino, sgombro freddo con sedano e aceto, cozze fritte, polpo alla brace (squisito e croccante), tagliatelle fritte (cioè seppie a tagliatella), seppioline e frutti di mare crudi, e infine provolone (da accompagnarsi alle cozze crude). I miei amici hanno poi insistito perché assaggiassi una pietanza tipica pugliese, gli spaghetti spezzati e cotti nel brodo del pesce che si è ordinato per secondo; nel mio caso era una pescatrice al forno con patate, di cottura perfetta: giusto il tempo di rilasciare un po’ di brodo e dorarsi in superficie, rimanendo morbida ed elastica all’interno. Si termina con un gran piatto di frutta già sbucciata: ananas, fichi d’India, meloni, uva e clementini. Il tutto pasteggiando con un più che dignitoso bianco del Salento. Con un conto sui 35 euro a testa, si esce più che soddisfatti, ma senza dimenticare gli scongiuri: se anche questa volta riusciremo a non beccarci un’epatite (le cozze, che filtrano acqua trattenendo virus e batteri, benché depurate sono pericolosissime da crude), vuol dire che un Dio c’è e ha scelto di vigilare proprio su di noi.