Puro “Vertigo”, quello che mi è capitato a Torcello. Appena arrivata in cima al campanile, è cominciato lo scampanio, con un fragore indescrivibile, perfetto per coprire le grida strazianti di chi stia per essere assassinato. Vibravano gli organi interni, vibrava il pavimento e, di conseguenza, il campo visivo. Certo, era l’ora di pranzo, la fame e lo stordimento erano notevoli, ma non al punto di farmi precipitare lì sotto, atterrando direttamente sul tavolo prenotato nel giardino della Locanda Cipriani. Drogata dall’impazzimento campanario, invece, mi sono ancor più goduta lo strepitoso panorama della laguna: isolette-atollo col ciuffo di un cespuglio, isolette-bosco, isolette-villaggio, l’isola Venezia, isolette-scoglio e altre con rudere e sterpaglie; poi, in lontananza, il petrolchimico di Marghera, con quelle ciminiere che nell’insieme non stanno neppure male, dando un che di continuità storica dal paleozoico a oggi. E, nel bel mezzo della laguna, quella che sembra la tavolozza dei colori di Gauguin e invece è Burano, con le sue casettine tecnhicolor di straniante allegria caraibica.
Tornando con lo sguardo all’isola su cui svettavo in cima al campanile, ho visto la fila dei turisti scesi dal vaporetto, che avanzano sul sentiero verso l’unica piazza dell’isola, e i camerieri che pinguinescamente si agitavano intorno ai tavoli esterni della Locanda; poi la cattedrale bizantina, costruita quando Torcello aveva ancora migliaia di abitanti (oggi i residenti sono solo quindici), e, di fronte al battistero, la casa di un’antiquaria, con un corteo di busti esposti nel giardino. E ancora i campi, i giardini racchiusi dal mura, l’immancabile cane che abbaiava, il ronzio di un tagliaerba, e poi, finite le campane, il rumore a perdere del meccanismo cingolato che le scuoteva.
Quando sono scesa mi sentivo felice, e compiangevo i turisti che avrebbero completato quella boccata di bellezza paradisiaca pranzando vicino all’imbarcadero, nella risparmiosa Ostaria (sic) Ponte del Diavolo, col menu da 28 euro comprendente “tagliolini con gamberri” (sic) e “rombo alla scogliera” – che equivale a ordinare sella di cervo a Capri. Spendendo il doppio di quei 28 euro (d’altronde, se uno arriva fino a Torcello qualche sgarro potrà pur permetterselo) si sarebbero nutriti con incomparabile soddisfazione per il palato e per lo sguardo alla Locanda Cipriani. Un luogo dove l’unica vera stonatura è la foto di Elton John (all’ingresso, vicino al tavolo dei motoscafisti): con le sue catenine ciondolanti e i dentini laschi, sfigura tra le foto di reali, presidenti e scrittori (ovviamente c’è anche il godurioso Hemingway). Per il resto: belle sedie, belle tovaglie, brutti bicchieri di vetraccio spesso (a due vogate da Murano, per giunta); un’esplosione di tulipani, gladioli, iris e violette, con roseti e ortensieti sul punto di sbocciare; il ghiaino sotto il tavolo, nel modo nei giardini d’antan; i camerieri impeccabili, come nel ristorante cugino (l’Harry’s Bar); una tavolata di commensali schiamazzanti, però sigillati in una veranda, quindi felicemente lontani dai nostri sguardi e dalle nostre orecchie. Capitolo cibo: scegliete i classici e non sbaglierete. La gustosa insalata di pollo, i tenerissimi scampetti bolliti con carciofi (unico difetto: gli inutili pomodorini decora-piatto), il risotto alla torcellana con verdure dell’estuario (salato, pepato, burrato e squisito), il fritto misto di pesce e verdure julienne. Il ristorante è gestito da Bonifacio Brass, caso quasi unico al mondo di figlio che anziché seguire la professione artistico-pecoreccia del padre (Tinto) ha scelto quella gastro-commerciale della madre (Carla Cipriani).