Se pensiamo all’Italia che piace all’estero ci vengono in mente cibi, arredi, vestiti, storia dell’arte, architettura… Certamente non penseremmo che un modello educativo elaborato a Reggio Emilia ed esportato in California sia diventato oggetto di studio in tutti gli Stati Uniti. Invece La Scuola – asilo, scuola elementare e presto anche media italian-internazionale di San Francisco -, è oggi un modello educativo invidiato, soprattutto in un Paese la cui scuola pubblica tende a livellare l’apprendimento verso il basso, mentre quella privata è alla ricerca di tecniche di insegnamento innovative, che valorizzino le potenzialità dei bambini. L’artefice di questo successo è una quarantacinquenne emiliana, Valentina Imbeni, ingegnere dei materiali che ha lasciato l’attività di ricerca all’università di Berkeley per reinventarsi come cofondatrice e direttrice (più precisamente “head of school”) di La Scuola. “Ho studiato a Cambridge e con il mio compagno, un fisico quantistico anglo-greco, siamo venuti a lavorare in California quindici anni fa. Ci siamo detti: ci sposiamo qui e poi torniamo. Poi: facciamo un figlio e torniamo. Due anni dopo: facciamo il secondo figlio e questa volta torniamo sul serio. Ma siamo ancora qui”. Il mancato ritorno nella sua amata Bologna, “la San Francisco italiana”, ha spinto Valentina Imbeni a portare un po’ di Emilia in California. Dieci anni fa, mentre era in attesa del secondo figlio, Matteo, si è trovata ad occuparsi della scuola frequentata dal primogenito, Stefano. Era un istituto cattolico italo americano, che si trovava in forte deficit e stava per chiudere. “Mentre ero a casa in maternità ho cominciato a occuparmi dei problemi della scuola, che è stata rifondata anche grazie alle donazioni di alcuni genitori – tra cui la nostra -, e ho continuato anche quando ho ripreso a lavorare a Berkeley. Dopo due anni di doppio lavoro, e dopo aver riflettuto a lungo sulle inefficienze e anche sulle ingiustizie del sistema scolastico americano, ho preso la decisione di cambiare vita. Nel 2007 il Consiglio di La Scuola mi ha nominato direttrice”. L’apporto di Valentina Imbeni è stato fondamentale nella rifondazione del metodo didattico. L’apprendimento avviene secondo il “Reggio Emilia Approach”, sviluppato in Italia a partire dagli anni Cinquanta dal pedagogista Loris Malaguzzi. È una filosofia educativa che parte dal ritenere il bambino un “soggetto di diritti”, in grado di costruire la propria conoscenza in modo orizzontale secondo una concatenazione causa-effetto. Così, il processo di apprendimento non avviene dall’alto in basso, ma si sviluppa autonomamente, all’interno di una rete di relazioni sociali tra il bambino, gli educatori e la famiglia. “Il metodo Montessori è un po’ il nonno del modello Reggio Emilia, che è basato sul costruttivismo sociale”, mi dice Valentina spiegando come i bambini vadano aiutati a sviluppare in modo creativo e non costrittivo le proprie attitudini individuali. Nel frattempo, mi accompagna a visitare la scuola. È una donna estremamente femminile e aggraziata, e – cosa per me sorprendente – quando i bambini la incontrano cercano un contatto fisico, vogliono essere abbracciati: la cosa più lontana immaginabile dalla figura un po’ arcigna e distaccata del tipico dirigente scolastico.
La Scuola, realizzata dall’architetto Michele Zini di Modena, figlio di Tullio Zini che aveva progettato quella sperimentale di Reggio Emilia, è luminosa, allegra, con tavoli ma senza cattedre, antigerarchica. I mobili sono di design, i computer Apple, e gli allievi suddividono le giornate scolastiche frequentando non aule ma atelier. C’è quello della musica, del cibo, della fisica, della fotografia (anche analogica con camera oscura e stampa), e quello particolarmente affascinante del video digitale, dove arte e scienza si incontrano fra attività con giochi di luci, maquette, rielaborazione dei disegni. “La nostra atelierista, Vea Vecchi, coordina le attività dei vari atelier. Per esempio, uno dei video realizzati in animation dai bambini era sui modi in cui si può risparmiare acqua, un tema molto sentito a San Francisco. I bambini usano le tavolette grafiche elettroniche già dalla terza elementare. Nell’atelier “Manteniamoci sani”, si analizza la composizione dei cibi in scatola abitualmente consumati a casa dagli allievi, studiando al contempo la matematica tramite i numeri rilevati sulle etichette degli alimenti e nelle statistiche sulla presenza degli zuccheri”.
Nel grande cortile, adiacente al parco giochi c’è un orto. I bambini coltivano erbe officinali e verdure, che poi vengono servite alla mensa. Nell’atelier/orto gli allievi preparano un inchiostro naturale con il carbone. Lo useranno nel laboratorio di arte, per disegnare. Il ruolo degli adulti è quello di aiutare e guidare nel processo di apprendimento i bambini, che studiano le discipline tramite le loro connessioni: scienza e giardinaggio, arte e storia, matematica e alimentazione… La proporzione allievi insegnanti è di dieci a uno e le lezioni sono tenute in italiano fino alla terza elementare, poi metà in inglese e metà in italiano. “A La Scuola gli studenti italiani o italofoni non sono più del 30 per cento. Gli altri, che vengono da famiglie in cui si parlano ben 23 lingue diverse, si iscrivono nella nostra scuola perché piace l’immersione nella cultura italiana, perché molti genitori ammirano il modello Reggio Emilia, e anche per l’affetto e per il calore con cui accogliamo i bambini. Questo, nonostante le lingue più popolari in California siano il mandarino e lo spagnolo. All’asilo abbiamo una lista d’attesa infinita,” aggiunge Valentina.
Le chiedo se non le manchi la vita da scienziata. “Ci sono due cose che rimpiango della mia vita precedente: il livello molto alto delle conversazioni che avevo a Cambridge e a Berkeley, e anche l’avere a che fare soprattutto con uomini. Qui siamo quasi tutte donne e a volte c’è un livello di emotività eccessivo. Per fortuna la mia precedente vita di scienziata mi ha insegnato a gestire il panico”. Mi guarda e precisa: “Nella ricerca va quasi sempre tutto male. Altrimenti non ci sarebbe niente da ricercare!”.
Succede che ora arrivino delegazioni da Reggio Emilia per studiare l’evoluzione del metodo. È venuto anche il presidente della regione Emilia, Stefano Bonaccini, che le ha chiesto di tornare a vivere in Italia per reimportare il modello educativo sciacquato nella baia di San Francisco. “Gli ho risposto che tornerei in Italia solo per far politica, per fare qualcosa di utile agli altri. L’ho detto per scherzo, ma da allora lui mi telefona a ogni tornata elettorale per propormi una candidatura “.
È ora di svelare che Valentina è figlia di un amatissimo sindaco di Bologna, Renzo Imbeni, che resse la città per dieci anni, dall”83 al ’93. Se a questa linea di sangue vocata alla politica, aggiungete la sua battuta sull’eventualità di un ritorno in Italia, e magari anche il dettaglio che suo marito è un fisico quantistico – proprio come quello di Angela Merkel -, viene da pensare che questa donna dall’aspetto delicato e dalla vibrante energia comunicativa, vivrà senz’altro una terza vita: scienziata, “head of school”, protagonista della vita politica.