Registi, commediografi, scrittori rifuggono – quantomeno nelle loro opere – dai matrimoni felici. È infatti un luogo comune che nulla sia noioso – dal punto di vista narrativo – quanto un matrimonio ben oliato in cui nessuno cornifichi, nessuno sia ferocemente geloso, nessuno viva doppie o triple vite. Per innescare l’attenzione dello spettatore/lettore si punta su catastrofi sentimentali in cui tutti finiamo per riconoscerci, dal momento che, se non ne abbiamo vissute personalmente (molto difficile), ce ne dà esperienza diretta gran parte delle persone che ci circondano. Eppure La fragile bellezza del giorno, romanzo dello scrittore Giorgio Montefoschi, riesce incredibilmente a ribaltare questa consuetudine narrativa. Nella prima parte della storia, più breve e meno avvincente, si racconta di uno scrittore sessantacinquenne che, a un anno dalla dolorosa perdita della moglie, ritrova l’energia vitale perduta innamorandosi (forse) di un’amica quarantacinquenne della nuora. Inutile raccontarvi i dettagli di questa passione, che è anche erotica: li leggerete. Ma nella seconda parte del romanzo, la più ampia, quell’uomo, il vedovo, totalmente dimentico della nuova innamorata, ripercorre con abbondanza di dettagli la sua storia d’amore con la moglie, iniziata con un colpo di fulmine sulla spiaggia di Sabaudia, quando erano ragazzi.
“È possibile innamorarsi perdutamente in un quarto d’ora?”. La risposta di Montefoschi è un bel sì, e in poco più di cento pagine straordinariamente avvincenti racconta un amore adolescenziale, diventato passione tra studenti universitari, e poi matrimonio con figli, per approdare all’amore maturo di una coppia di giovani nonni che si godono immensamente l’età delle abitudini rodate. Quello che stupisce, appunto, è rendersi conto di come possa esser ricco, avvincente, pieno di pathos narrativo un matrimonio privo di tradimenti e basato solo, esclusivamente sull’amore. Nel romanzo di Montefoschi c’è anche un secondo romanzo, quello che va ideando il protagonista Ernesto, che di professione è scrittore. Anche qui c’è un matrimonio, che però si sfascia perché il marito, Leone, molla moglie e figli per vivere un amore più eccitante con una nuova compagna. Poi, dopo un bel po’ di tempo, la storia si esaurisce e lui torna a frequentare la propria famiglia, sinché, a forza di ciondolare intorno ai figli e alla moglie, a forza di presentarsi e ripresentarsi, ché tanto ormai vive da solo e non gli manca il tempo libero e cerca di occuparlo con la famiglia originaria, la moglie, esitante e ferita, man mano se lo riprende. Proprio come in Vivere per vivere, uno dei più celebri film di Claude Lelouch in cui Yves Montand, un reporter che lascia la moglie per una bella americana e poi se ne stufa, va in Vietnam, vive la tremenda frustrazione degli inutili orrori di guerra, torna dalla moglie e… be’, lei lo tiene un po’ sulla corda ma poi se lo riprende, ricominciando da dove si erano interrotti. Questo perché, sebbene ormai si sia fatta in noi l’idea che il matrimonio è una cosa che prima o poi finisce in mano a un divorzista, continuano a esserci persone che lo considerano eterno e che, tra un viavai e l’altro, si ritrovano, si scelgono nuovamente: sbollita l’eccitazione della novità, considerano che il proprio coniuge è la persona con cui stanno meglio al mondo, è impagabile e insostituibile. Forse non lo ricordate, ma è anche quello che succede a Zeno Cosini, il protagonista del romanzo di Italo Svevo: “Lì, accanto a Carla, rinacque intera la mia passione per Augusta. Ora non avrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera moglie, solo per vederla intenta al suo lavoro di formica assidua, mentre metteva in salvo le nostre cose in un’atmosfera di canfora e naftalina. Carla era carina, ma non poteva più conquistarmi”.
Di storie così, però vere, non solo impresse sulla carta e sulla pellicola, ne conosco a decine. In qualche raro caso, a tradire, lasciare e poi ritrovare asilo è la moglie, mentre di solito è il contrario (e il mondo sarà davvero cambiato quando raggiungeremo il pareggio anche in questo campo). Quello che conta è che evidentemente l’amore non è una sensazione passeggera ma in certi fortunati casi una costruzione di alchimie sempre diverse che unisce e riunisce due persone per motivi che non sono solo zucchero e roselline. È perfetta una battuta di Woody Allen: “I miei genitori restarono insieme quarant’anni. Ma per dispetto”. Quanti ne abbiamo conosciuti così? che si maltrattano, se ne dicono di tutti i colori tra stizza e recriminazioni, preferibilmente davanti agli amici, alle feste, alle cene di compleanno? Il poeta Wystan Auden lo definì, con grande efficacia, “il duello protratto del matrimonio”. Un duello amoroso che cessa solo con la fine di uno dei due contendenti, e qui torniamo al bel romanzo di Montefoschi, alla storia di Ernesto e Carla che, pur senza tradirsi, si sentirono traditi, gelosi, insicuri, innamorati per tutto il tempo della loro lunga contesa matrimoniale.