Cosa resta della saga della famiglia Agnelli? Il momento d’oro è passato, i concetti di fascino ed eleganza sono sovvertiti, le vecchie ricchezze europee e americane competono con nuove ricchezze sparpagliate tra continenti di cui un tempo non si teneva conto. Terminato il Novecento, i costumi e i privilegi vengono scrutati e dissezionati dal mondo giudicante dei social. Nulla più è inaccessibile, quantomeno agli sguardi di chi possiede uno smartphone.
Proprio sugli Agnelli, riassumendo la vicenda di una grande famiglia novecentesca, Jennifer Clark pubblica un gustoso volume, L’ultima dinastia. In copertina una foto di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo di Castagneto. Un marito riluttante e una moglie imperscrutabile nell’adesione senza sbavature al canone della perfetta consorte upper class. Nel libro della giornalista americana, scritto con la tipica fluida degli anglosassoni, veloce e mai noiosa, si raccontano cinque generazioni di quella che è stata definita “famiglia reale italiana”. Storia pubblica, dalla fondazione della Fiat nel 1899 fino all’odierna Stellantis, e storia privata, con molti dettagli (amori, matrimoni, inciampi, tragedie) sui componenti della famiglia.
Famiglia che ora, tra furibonde liti sulla trasmissione ereditaria del patrimonio, rivelazioni su consistenti evasioni fiscali del passato e nuove dislocazioni aziendali ha perso charme, pur restando fondamentale e anche simbolica nella storia economica e sociale italiana. Ci si chiede: in mezzo a questa vicenda dinastica, che è prevalentemente maschile perché sinora il capitale, l’industria, gli eredi al comando sono sempre stati solo maschi, che ruolo hanno avuto le donne di casa Agnelli? Se la più celebre, la sofisticata e irraggiungibile Marella Caracciolo di Castagneto, è stata una donna tradizionale, sposata a un marito della categoria homme à femmes, e nel silenzio di una misteriosa vita privata si è dedicata a costruire il glamour delle sue case, dei suoi giardini, dei suoi outfit, ci sono state figure femminili più moderne? Ebbene sì. Emergono su tutte due donne fuori dal loro tempo e piantate dentro al nostro. La prima, ben raccontata nel libro di Jennifer Clark, era la madre di Gianni Agnelli. Virginia Bourbon Del Monte, figlia di un aristocratico romano e di un’ereditiera americana, nata nello stesso anno della FIAT, il 1899. Sposò a vent’anni Edoardo Agnelli, l’erede, cioè l’unico figlio maschio del fondatore Giovanni Agnelli. Da allora, gli Agnelli si sposarono perlopiù con aristocratici, magari spiantati ma portatori di cognomi e stili che contribuirono all’allure del casato altrimenti borghese. Virginia, bella e radicalmente anticonformista, ignorantissima, sforna figli a raffica (ben sette, tra cui il secondogenito ma primo maschio Gianni). Veste e si sveste in libertà, porta i capelli ricci sciolti e lunghissimi contro i dettami del tempo, ama l’arte e gli artisti, e ben presto comincia così come il marito a diversificare la propria vita sentimentale. Quando Edoardo muore in un incidente aereo, lei ha 35 anni, è ancora attraente e si fidanza (o rifidanza, perché pare che la storia avesse avuto un significativo prologo) con lo scrittore Curzio Malaparte, discusso avventuriero di indiscutibile genio letterario. Da lì, uno straordinario braccio di ferro col suocero, che le vuole portare via i figli non ritenendola degna di crescerli. Ma lei, scombinata e amorosa, quasi più sorella maggiore che madre, non rinuncia, e lotta, e riuscirà ad averla vinta grazie anche a ottimi avvocati, tra fughe e rapimenti e dislocazioni. In questa vita forse fatua, ma straordinariamente protofemminista per la forza con cui Virginia combatte per avere quello che le spetta, l’amore e i propri figli, piomba la guerra. A quel punto sfodera un’ulteriore versante del proprio carattere: nel ’44, si attiva e sfruttando le conoscenze mondane riesce a organizzare un incontro segreto tra papa Pio XII e il Comandante supremo delle SS, il generale Carl Wolff. Finisce che i nazisti lasciano Roma senza compiere ulteriori distruzioni. Virginia morirà a 46 anni, per un sorpasso azzardato mentre guida la sua auto (anche questo non comune ai tempi) verso Forte dei Marmi. Di Virginia non restano diari né lettere, forse tenute nascoste dalla famiglia. Come testimonianza pubblica rimane solo una delle sue auto, con iniziali gialle sul cruscotto, custodita nel Museo Nazionale dell’Automobile di Torino.
L’altra Agnelli che meriterebbe un libro tutto per sé (magari il prossimo di Jennifer Clark) è Susanna Agnelli, terzogenita di Virginia e sorella di Gianni. Invece di spegnere le proprie capacità e curiosità in un ruolo di moglie, dopo un primo matrimonio con Urbano Rattazzi da cui avrà sei figli, non si è più fermata. Laureata in tempi in cui le donne si sposavano e basta, crocerossina durante la guerra e poi protagonista di una carriera politica iniziata dal basso e dal concreto, come sindaca di Monte Argentario (e lì a combattere contro abusivismo edilizio e incendi dolosi), poi deputata del Partito Repubblicano, unica donna fra maschi, europarlamentare, senatrice, sottosegretaria agli Esteri, ministro degli Esteri (prima volta per una donna). Al contempo scrittrice brillantissima: tutto quello che sappiamo sulla famiglia Agnelli è dovuto al suo best seller Vestivamo alla marinara. Famosa la sua rubrica della posta sul settimanale “Oggi”, arguta, sintetica e sempre antiretorica. Aggiungiamo che è stata una madre anticonformista e molto presente, una passionale amatrice di uomini colti e interessanti, tra cui il critico letterario Cesare Garboli e il governatore della Banca d’Italia Guido Carli, e ancora, creatrice e fondatrice di Telethon e della Fondazione Il Faro, in cui lungi dal fare carità a distanza, si impegnava in primo piano come nella tradizione della cultura filantropica anglosassone. Elegante quando necessario e altrimenti in jeans e pose maschili, ambientalista e sostenitrice dei diritti umani quando in Italia nessuno ne parlava, insomma una gran donna che ha tenuto testa al fratello, cui era legatissima, e che però le fece lo sgarbo di comprare la produzione del film tratto da Vestivamo alla marinara, già in avanzata fase di lavorazione, perché non uscisse.
Susanna è stata forse persino fluida. Indimenticabile l’intervista post mortem (di Susanna) in cui la socialite Marisela Federici dichiarò: “Suni è stata l’amore della mia vita”, ma anche, addirittura, “Io e Suni avevamo scoperto una clinica nel canton San Gallo dove già a quei tempi, trent’anni fa, facevano il lavaggio del colon. Noi andavamo due volte l’anno, suo fratello Gianni ci prendeva sempre in giro: Come può una persona chiudersi in un sanatorio per due settimane a farsi dei grandi clisteri?”. Anche e soprattutto se si è degli Agnelli, resta impossibile difendersi dal protagonismo di chi ci sopravvive.