Buona ultima della serie, ecco la narrativa italiana. Per ricapitolare: la nostra ricerca sull’identità dei lettori si è sviluppata su cinque generi letterari: thriller, fantasy, comedy, romanzi storici e narrativa italiana. Molti di voi, e anche gli autori di questo articolo, si chiederanno come possa la narrativa italiana essere ritenuta di per sé un genere, dal momento che la parola “italiana” indica la lingua in cui è stato scritto un romanzo, ed eventualmente la nazionalità stampata sul passaporto dell’autore, ma certo non individua il tipo di storia raccontata. Di fatto, il romanziere italiano, né più né meno di quello inglese o turco, racconta vicende gialle, rosa, fantasy, storiche, di fantascienza… attingendo a una varietà tematica di cui gli stessi libri di Dacia Maraini, in edicola con il Corriere della Sera, sono un’ottima dimostrazione: di volta in volta l’autrice ha utilizzato strategie e gabbie narrative diverse, dall’indagine su un omicidio, al memoir, al romanzo storico.
Tuttavia le ricerche dimostrano che effettivamente esiste un pubblico specifico della narrativa italiana. Lettori che, al di là della tipologia, preferiscono le storie raccontate da autori autoctoni, e finiscono così per farne una lettura di genere. Si tratta evidentemente di un pubblico che ama ritrovare nei romanzi vicende di casa propria, i cui protagonisti possono chiamarsi Paola o Marco o Genoveffa, abitare in via della Lungara a Roma o in vicolo dell’Abbondanza a Otranto, avere un vicino di casa camorrista, lottare da dieci anni con le interminabili lungaggini di una vicenda legale, mettere in tavola un piatto di pasta mentre dalla finestra aperta entra l’odore poco allettante del negozio di kebab sotto casa. A questi lettori, le peripezie di un commissario finlandese o gli spasmi sentimentali di una casalinga di Osaka, tutte vicende ambientate in strane vie, tra bevande e cibi sconosciuti, con personaggi di cui si fatica a memorizzare il nome, procurano probabilmente un poco allettante senso di spaesamento.
Quello della narrativa italiana è un pubblico soprattutto femminile, con un’accentuazione (lo ricordiamo: così si definisce un tasso di percentuale più elevato di almeno quattro punti rispetto alla media dei lettori in generale) del 12%. Perlopiù si tratta di impiegate e insegnanti (+ 9%), residenti nel nord-ovest (+ 4%), in comuni con almeno 50.000 abitanti. Quanto alle idee politiche, vi è un’accentuazione del 5% fra chi si dichiara “di centro”. Un panorama che ricorda il cliché della donna tradizionalista, quella che in passato costituiva lo zoccolo duro degli elettori della Democrazia Cristiana. Persone cui piace che le vicende narrate utilizzino riferimenti noti, e magari custodiscano elementi del patrimonio culturale italiano, quello che le insegnanti mirano a trasmettere ai loro allievi.
“Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea.
“La bambina segue nello specchio il padre che, chino, si aggiusta le calze sui polpacci. La bocca è in movimento ma il suono delle parole non la raggiunge, si perde prima di arrivare alle sue orecchie quasi che la distanza visibile che li separa fosse solo un inciampo dell’occhio. Sembrano vicini ma sono lontani mille miglia”. Così inizia La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini, romanzo di grande successo, pubblicato quindici anni fa e da allora continuamente ristampato. Già in queste prime righe troviamo alcuni degli elementi che spiegano l’appeal della storia raccontata: il rapporto padre-figlia (che alcuni anni dopo si rispecchierà in rapporto madre-figlio), la parrucca e il corsetto (dettagli che subito ci introducono nell’atmosfera del romanzo in costume), l’ambiente aristocratico, la presenza di una menomazione fisica (Marianna, la protagonista, è sordomuta). Nel romanzo ci sono inoltre il respiro della famigliare, e c’è il riscatto, tramite la lettura, di una donna sensibile e intelligente ma apparentemente minorata, non solo perché sordomuta ma anche per via della penosa condizione femminile di quei tempi (siamo nella Sicilia della prima metà del Settecento). Il tutto con un sovraccarico di materia sentimentale dovuto al fatto che l’autrice ha ricostruito, romanzandola, romanzato la storia di una sua antenata. Ecco insomma scodellata la facile analisi (facile come tutte quelle fatte a posteriori) di un successo annunciato.
A parte la riuscita composizione degli ingredienti che hanno portato al successo La lunga vita di Marianna Ucrìa, le ricerche dimostrano che alle donne italiane di livello culturale medio-alto – una fascia di pubblico che si sente custode di una tradizione letteraria, e che costituisce la gran parte dei lettori italiani – piace la narrativa che racconta il nostro paese, a prescindere dal genere letterario utilizzato per costruire la trama del romanzo.