Antro della Sibilla, Gola dell’Infernaccio, Amandola, Casa Innamorati, Montemonaco, Lago Pilato… Luoghi con nomi dal forte impatto immaginifico, e che nell’area del Parco Nazionale dei Monti Sibillini troviamo sparpagliati, in vertiginoso concentrato, nell’arco di pochi tortuosi chilometri.
Siamo in una delle tante zone ignorate dai traffici e dai clamori del vacanzificio italico, sorta di riserva per il futuro sviluppo dell’industria turistica. Ai confini tra Marche e Umbria, a qualche decina di chilometri da un mare della cui vista si gode anche a duemila metri, si precipita in un’atmosfera di paesaggio altomedievale, avendo appena lasciato la costa afflitta da baraccopoli spacciate per campeggi, misere palazzine di edilizia raffazzonata, parchi acquatici e altre piacevolezze progettate per le vacanze agostane della piccolo-media borghesia italiana.
L’itinerario che suggerisco, un po’ contorto quanto a strade, è suggestivo e dà l’idea (e la soddisfazione) di essere come pionieri, accolti benevolmente da popolazioni poco avvezze ad avere le strade intasate dalle auto dei turisti. Si lascia l’autostrada adriatica a Pedaso, nella provincia di Ascoli Piceno. Si imbocca la dolce valle dell’Aso e si prosegue per una quarantina di chilometri fino a Comunanza. Il viaggio si svolge a fondovalle, circondati da colline, ognuna col suo paese d’impianto medievale arroccato sul cocuzzolo. Paesi che, ad averne il tempo, valgono perlomeno una sosta: Moresco, Montefiore dell’Aso, Monte Vidon Combatte, Monte Rinaldo… Ne cito quattro, ma sono trenta o quaranta, e si potrebbe zigzagare per ore nella zona del Piceno, fermandosi a ogni cocuzzolo a chiedersi se sia meglio quello o l’altro appena lasciato. Nel frattempo vi ritroverete alle spalle il mare e di fronte il gruppo dei Monti Sibillini. Da Comunanza la strada sale, il paesaggio si fa più aspro, l’aria diviene frizzante. Dieci chilometri, e si arriva ad Amandola, cittadina nata nel XIII secolo dall’unione di tre castelli, e sede di una di quelle “Case del Parco” che forniscono informazioni e carte che descrivono gli itinerari, ed eventualmente guide alpine con cui organizzare gite. Va premesso che i sentieri appenninici non hanno la medesima visibilità di quelli delle alpi: scordatevi di trovare ogni poco segnali rossi sulle pietre, frecce che indichino la direzione consigliata, masi e malghe e rifugi, corsi d’acqua cui abbeverarsi. Chi parte per gite su questi straordinari sentieri deve mettersi nello zaino acqua, panini, e carte ben dettagliate; dopodiché proverà l’ebbrezza di paesaggi che dal faggeto sfumano in immensi pascoli rocciosi, terre che furono e ancora in parte sono zone della transumanza, su cui non è raro incontrare greggi di pecore sorvegliati da pastori maremmani.
Altra avvertenza: siamo dalle parti di Norcia, e i salumi, spesso di cinghiale o di fegato, sono grezzi e sapidi. La cosa più delicata (e squisita) è la ricotta di pecora, e a chiunque consiglio di tornare a casa con una forma di “semistagionato” di pecora, facile da trovare nei negozi ma anche direttamente dai produttori, nelle case con stalla sparpagliate lungo le stradine di montagna, come quella che da Casa Innamorati porta al rifugio Città di Amandola.
C’è poi la strada che in una decina di chilometri vi porterà a Montefortino e, aggirando il Monte Sibilla (così chiamato per via di una grotta, a 2000 metri, in cui pare abitasse la Sibilla Appenninica), alla gola dell’Infernaccio, un aspro canyon che sfocia in un faggeto. Da qui, risalendo la costa su un tappeto di ciclamini, arriverete a un romitorio abitato da un laborioso eremita.
Dall’altro lato del Monte Sibilla, passando per l’abitato di Isola San Biagio (sono paesini dallo straniante aspetto di fusion svizzero-centroitalica) arriverete a Montemonaco, da cui si gode di una magnifica vista sulle cime del Parco, e da cui si prosegue per Montegallo, ultima tappa prima d’arrivare alla nostra destinazione finale, Castelluccio di Norcia, luogo che allibisce per la sua natura magicamente spirituale. Immaginate, a 1400 metri, la visione di una grande piana ventosa, senza una casa, coltivata a lenticchie e punteggiata di fiorellini, circondata da monti anch’essi deserti, con un’unica strada che l’attraversa e al cui termine, arroccato a chiocciola ai piedi di un rilievo, c’è il paese medievale di Castelluccio. Il suono del vento increspato dal passaggio gracchiante di qualche rapace, l’ordine perfetto del paesaggio, le scritte misteriose sulle mura che alludono a fatti e personaggi locali contribuiscono alla magia del luogo. Fatti di carne e non di solo spirito, lasceremo Castelluccio solo dopo aver acquistato le pregiate lenticchie locali.
Per il ritorno sull’Adriatica si può scegliere una strada più breve, che passa da Ascoli Piceno.