Camilla Baresani

Sommario

Il giallo della bella siciliana e del signor Nessuno

- Corriere della Sera, ''Uno scrittore, un giallo'' - Storie

E’ il tardo pomeriggio di lunedì 17 marzo 2008, ancora sei giorni ed è Pasqua. Il maresciallo Cipolla, che sta per sorseggiare il caffè offertogli dalla padrona di casa, nota che sotto la macchina per l’espresso c’è un freezer a pozzetto. Quel freezer è l’unico pertugio che non abbia ancora ispezionato. Chiede di sollevarne il coperchio.
Chissà in quel momento le pulsazioni di Stefania Orsola Scarlata, chissà il panico, il senso di soffocamento. Oppure niente: una calma serafica, assoluta, se è vero quello che la donna dichiara subito dopo. Cioè che lei quel cadavere d’uomo, rannicchiato “intero e senza nemmeno un calzino” come hanno scritto i giornali, non sapeva che si trovasse lì. Nel freezer spento. Perché Stefania, mangiati gli ultimi gelati nel mese di agosto, aveva staccato la spina e nel freezer non ci aveva più messo naso. Cade dalle nuvole, dunque, la padrona di casa (“Siamo su Candid Camera?” chiede più volte al maresciallo): quel morto non sa chi sia, mai visto prima. Lo dice al momento del ritrovamento, e lo ribadisce durante il primo lungo interrogatorio, nella notte: “Mi hanno incastrato, non so niente di questo corpo”. E precisa: “Oltre a me c’è un’altra persona che ha le chiavi di casa, è il mio amante”. Vale a dire M. C., trentacinquenne, sposato, che oltre a essere l’amante di Stefania è anche l’uomo che l’ha denunciata, suggerendo ai carabinieri di perquisirne l’abitazione.
Siamo a Doganella di Ninfa, poco più di un incrocio nei pressi della “fettuccia di Terracina”, lungo rettifilo della via Appia che negli anni ’50 veniva usato come autopista dai dandy romani per mettere alla prova le loro Aurelie. E siamo a due passi da Ninfa, cittadella fortificata che lo storico tedesco Gregorovius definiva “Pompei del medioevo”. Oggi, questa proprietà dei Caetani, con parco e sorgente, è un’oasi del WWF. A raccontarla così, la zona sembrerebbe al centro di molte cose: nobiltà papalina, jet set romano, storia d’Italia, paesaggismo virtuoso. Ma se andate a vedere la villetta nel cui freezer era stipato il cadavere del pensionato sessantottenne Giancarlo De Santis, la troverete sperduta e lontana da tutto. Una lunga strada sterrata (via Giulio II – a Doganella di Ninfa le strade hanno perlopiù nomi di papi) e cinque villette graziose e ben tenute, con nani di cemento, tricicli e giocattoli sparpagliati sulla tenera erbetta delle aiuole. Ad abitare queste cinque case è un singolo gruppo famigliare. La strada, isolata tra olivi e peschi, è a fondo chiuso con una brevissima biforcazione che porta alla sesta e ultima casetta, quella affittata dalla trentacinquenne Stefania, ufficialmente agente immobiliare. Sembrerebbe un luogo idilliaco, anche se un veneto o un lombardo eviterebbero di abitarci, giacché per loro ormai la campagna significa solo furti in villa. La casa di Stefania è l’unica un po’ malconcia, con l’intonaco ancora al grezzo, pitturata di rosa porcellino solo sul lato che dà sulle altre villette, e non su quello panoramico dell’ingresso, che dà su un grande campo e sulle pendici dei monti Lepini. Nelle piccole comunità, più che il proprio piacere conta la reputazione, e allora, se non ci sono soldi, si completano solo le cose visibili al vicinato. Il giardino della casetta monopiano è sciatto: quattro cagnetti vecchi e un po’ disastrati abbaiano senza convinzione dalle strette maglie del cancello, una logora poltrona in similpelle prende la pioggia, un incongruo abete natalizio è piantato a ridosso della rete, cui sono appesi una stella cometa e una palla tempestata di brillantini sbiaditi. In una situazione simile, è chiaramente impossibile sfuggire al controllo dei vicini, e se Stefania fosse stata una maîtresse – come prospettato all’inizio dalle forze dell’ordine per depistare i giornalisti – quello sarebbe stato il luogo meno indicato per smistare con discrezione il viavai di clienti e ragazze. Ma la storia del cadavere nel congelatore spento segue altre strade, ancora da svelare. Partiamo dai protagonisti: anzitutto i giornali di provincia, nel nostro caso Latina Oggi. Ci sono gialli che, per carenza di efferatezze, non riescono a diventare casi da cronaca nazionale: poche righe il primo giorno (“Trovato cadavere in un congelatore in provincia di Latina”) e poi non se ne sa più nulla, spariscono dai quotidiani più importanti. Ma la stampa locale no, con casi del genere ci campa per mesi. Mette in secondo piano il pomodoro gigante, lo yacht incagliato, lo scandalo delle bufale, gli abusi edilizi, i compleanni e gli anniversari, e per settimane offre intere pagine che scavano nella vicenda, nei verbali, nelle psicologie. E’ l’Italia vista al microscopio, che rende epici personaggi come il “signor nessuno” e la “bella siciliana che smentisce anche se stessa”. Perché Stefania Scarlata è di Caltanissetta (pensate come suona bene “la bella siciliana”, laddove una “bella valdostana” non pare adatta a un torbido noir), e sin dal primo momento mente su tutto, tranne che sui cani, di cui instancabilmente si preoccupa dalla cella di Rebibbia (ora minaccia di suicidarsi se verranno portati al canile). Dice che suo padre era avvocato e invece il padre aveva un bar sul corso principale di Caltanissetta. Dice di essere stata una bambina prodigio, poi laureata in psicologia e chiede al gip (“Vostro Onore” lo chiama, come nei telefilm americani) di guardarla negli occhi in modo da poterlo analizzare. Dice di avere un parente miliardario; dice di essere nata il 15 marzo, poi il 17, ma dai documenti risulta il 21. Dice, soprattutto, di non saper nulla del cadavere nel pozzetto; ma sul tavolo della cucina i carabinieri trovano i documenti del morto, e in una camera c’è una cartellina intestata a suo nome: Giancarlo De Santis. È lui il Signor Nessuno: un pensionato romano, piccoletto (1,60 per 60 chili) e con un gran riporto, di cui non c’è anima viva che, a un mese dal ritrovamento, reclami il corpo (forse per non doversi addossare le spese di sepoltura) o si faccia vivo con gli inquirenti per riferire che vita facesse negli ultimi tempi. Separato da undici anni da una moglie di cui si sono perse le tracce, fino a quattro mesi fa viveva a Roma nel quartiere di San Basilio, nell’appartamento ereditato dai genitori. I vicini (è stato uno di loro a identificarne la salma) lo ricordano solo perché spesso rincasava con ragazze dell’est e si lamentava dei rumori altrui – proprio lui che, in piena notte, intonava a gran voce stornelli romani. Altro non sanno. Gli inquirenti hanno scoperto che era titolare di una pensione ottenuta facendo le pulizie nei condomini di San Basilio. Un uomo perfetto per essere truffato anche da morto: nessuno lo cerca, nessuno lo rivuole, nessuno pretende la sua eredità. L’autopsia ha stabilito che la morte di Giancarlo De Santis è avvenuta per infarto in un arco tra due giorni e due settimane prima del ritrovamento. Gli accertamenti tossicologici hanno accertato che nel suo sangue non c’era né alcol né droga. E’ invece risultato positivo alla digossina, sostanza che di solito si usa per curare malattie cardiache e che ad alti dosaggi può provocare la morte. Ma è un dato che potrebbe essere stato falsato dalla strumentazione, quindi gli esami vanno ripetuti. Pare abbastanza remota l’ipotesi che De Santis sia stato avvelenato. L’onnipresente criminologo Francesco Bruno, interpellato al telefono da Latina Oggi, ha dichiarato: “Un uomo probabilmente morto sul campo di battaglia – come si suol dire”, e poi ha fatto alcune scontate osservazioni sulla deriva moral-televisiva dei tempi. Perché Stefania, nella cui casa c’erano un aggeggio per il karaoke e un tapis-roulant, a detta di chi l’ha conosciuta avrebbe voluto diventare un personaggio televisivo. E non si sa mai, hanno commentato i giornali, che ora ci riesca, grazie a un qualche Corona meno appannato.
Torniamo alle indagini: gli inquirenti, a ulteriore dimostrazione che la bella siciliana conosceva benissimo il Signor Nessuno, hanno accertato che la mattina del 1 marzo, quando con ogni probabilità il povero De Santis era ancora vivo, Stefania ha chiesto al 1254 di ricevere un sms con l’indirizzo della filiale Unicredit più vicina, per prelevare col bancomat la pensione appena accreditata sul conto dell’uomo. E sul suo cellulare Stefania aveva anche registrato il codice segreto del bancomat dell’uomo.
In questa storia ci sono almeno un altro protagonista e due figuranti. Il primo è M.C., l’amante, che il giorno del fermo aveva appuntamento con Stefania in un centro commerciale per aiutarla a raggirare un altro uomo, P.V. Invece di andare all’appuntamento, l’amante è andato dai carabinieri per denunciarla, dichiarando di averla aiutata diverse volte a falsificare delle certificazioni di compensi, e di essere vittima di un ricatto. La bella siciliana (che in realtà più che bella è scialbamente gradevole) lo costringeva a delinquere minacciandolo di rivelare alla moglie la loro relazione – che lui ha naturalmente dichiarato essere “solo platonica”.
Quando i carabinieri, subito dopo la denuncia, hanno fermato Stefania, l’hanno trovata in un bar nei pressi di casa, dove aveva appena comprato un pacchetto di sigarette e alcuni gratta-e-vinci. Era insieme a P.V., l’uomo che doveva incontrare al centro commerciale. I carabinieri li hanno accompagnati sino alla villetta, hanno fatto la perquisizione e, mentre stavano per andarsene, Stefania ha pensato bene di offrir loro un caffé. Sotto la macchina, come abbiamo visto, c’era il pozzetto-freezer, con dentro il cadavere di De Santis. L’uomo che accompagnava Stefania aveva tre motoseghe nel bagagliaio della macchina. Lì per lì si è pensato che dovessero servire a sezionare il cadavere, ma poi pare che P.V. abbia dimostrato agli inquirenti la propria assoluta estraneità: proprietario di un fondo agricolo, quelle motoseghe le usava per le potature (che difatti si fanno in marzo).
L’altro figurante è un taxista di Velletri, brizzolato e col codino. Scarrozzava abitualmente Stefania (che non ha l’auto), ed è l’uomo che è stato visto più spesso in sua compagnia.
Stefania è già stata in carcere, nel 2006. Il suo passato ha una grande coerenza: truffe di medio cabotaggio, compiute seducendo e ricattando uomini. Li usava come prestanome o come complici nella falsificazione dei documenti necessari per ottenere prestiti da istituti finanziari. Stefania non ha residenza, né carta d’identità – o meglio: ne ha una falsa, con il cognome “Carlata”. In un albergo di Velletri, dove abitava sino a un anno fa, e dove ha lasciato il conto da pagare (“Ma lo doveva saldare un mio ex amante”), sono stati trovati alcuni abiti, diversi documenti e una lettera d’amore indirizzata a De Santis. Nel secondo interrogatorio, che Antonio Bertizzolo, il cronista di Latina Oggi ha giustamente definito “meraviglioso”, Stefania Scarlata ha iniziato ad ammettere di aver conosciuto De Santis anni prima, per delle pratiche di finanziamento, senza averlo più rivisto. “Ho negato perché ero confusa”, ha dichiarato. Al magistrato, che le chiedeva conto della strana assenza di lenzuola e indumenti nella casa, delle scatole vuote di medicinali, della macchina fotografica e della telecamera nascoste sotto il forno, ha risposto: “Embé, qual è il problema?”
“Il problema è che lei ha un cadavere nel congelatore.”
“E io che ne sapevo?”
“Come mai ha delle manette in casa?”
“Perché mi piacciono i telefilm polizieschi.”
“Fa uso di sostanze stupefacenti?”
“Fatemi un’analisi, troverete solo latte e mozzarella, mangio macrobiotico e poi non fumo e sono astemia”. (Ma quando i carabinieri l’hanno fermata, aveva appena comprato un pacchetto di sigarette.) E poi: “Mi piace ballare davanti allo specchio come fanno ad Amici, sono una narcisista, mi riprendo con la telecamera e mi fotografo.”
Ma è stato solo la settimana scorsa, davanti ai giudici del Tribunale del Riesame, che Stefania ha confessato di aver conosciuto De Santis sette anni fa, nei pressi della Fontana di Trevi, e che lui la chiamava “Stellina” e, per riconoscenza, dato che frequentava la sua casa, divideva con lei la pensione. Quanto all’assenza di biancheria intima in casa, l’ha spiegata dicendo che poiché aveva poco denaro preferiva spenderlo per comprare cibo ai cani; ma ai vicini di casa (che hanno detto che era poco socievole e camminava sempre a testa bassa) aveva raccontato che avrebbe fatto una piscina nel giardino e che intendeva comprare l’uliveto accanto al suo giardino. E, dopo aver ritirato i soldi di De Santis, l’1 marzo, era andata da un gioielliere di Cisterna per comprarsi un orologio nuovo. Il freezer a pozzetto invece l’aveva acquistato nel mese di agosto.
Raccolti e illustrati questi dati, restano molte domande. Mettiamo che de Santis sia morto d’infarto, e che quindi Stefania non l’abbia ucciso ma abbia solo deciso di occultarne il cadavere per continuare a prelevargli la pensione, prosciugargli il conto corrente e magari usare i suoi documenti per ottenere un finanziamento: chi l’ha aiutata? Non è pensabile che da sola sia riuscita a “ripiegare” il cadavere e infilarlo nel pozzetto. E se non l’ha ucciso lei, ma ne ha solo nascosto il corpo, perché non ha ammesso tutto subito? A quest’ora l’avrebbero già scarcerata e sarebbe già tornata a occuparsi dei suoi quattro amatissimi cani. E se De Santis fosse morto d’infarto mentre era in casa, perché far sparire lenzuola e abiti di entrambi, come se ci fosse qualcosa di ben più truce da nascondere? E dove ha passato gli ultimi quattro mesi di vita il Signor Nessuno, dato che gli abitanti delle villette escludono che abitasse da Stefania? Anche lei, del resto, è alquanto “nessuno”: ha dichiarato che la sua unica famiglia sono i quattro cagnetti, e sinora nessun parente si è fatto vivo. Al momento, si attendono i risultati dei rilievi di impronte e Dna sul freezer e nella casa. Ma, senza una confessione, il giallo di Doganella di Ninfa difficilmente verrà risolto: le impronte potranno al massimo rivelare l’identità di chi ha toccato il freezer, ma non ci diranno se l’abbia fatto per metterci dei gelati o per nasconderci un pensionato morto.