In un prossimo futuro, spinti dal pressante ecologismo salva-alberi e dalle fortune del mondo digitale, forse ne faremo a meno. Ma in questo momento siamo ancora pienamente immersi nella civiltà della carta, e ne subiamo il fascino. Un fascino che appartiene ai contenuti che vi troviamo stampati, ma che spesso è anche tattile. Volendo aggiungere elementi di fascinazione, ci sono quelli di storia artigianal-industriale e qualche sprazzo di cultura paesaggistica. Li troviamo felicemente riuniti nella valle delle cartiere, a Maderno, sul lago di Garda. Una forra inospitale e fascinosamente lugubre, che, dalla quiete luccicante di uno dei golfi più aperti e mediterranei del lago, si spinge all’interno del Parco dell’Alto Garda, accompagnata dal gorgoglio delle acque del Toscolano su cui incombe il monte Pizzoccolo. Da quando, nel 1962, anche l’ultima cartiera ha cessato l’attività, la vegetazione ha preso piede tra i dirupi e le rovine pittoresche degli antichi opifici: si fatica a immaginare come questa valle angusta abbia potuto essere al centro della produzione di carta pregiata sin dalla fine del Trecento, seconda solo a Fabriano. Verso la fine del Cinquecento, stipate nel paesaggio irto e segreto, furono censite ben 36 cartiere, la cui attività troverete spiegata e documentata alla Fondazione Valle delle Cartiere (www.valledellecartiere.it). Tutta la zona viveva dell’indotto di questa produzione, che forniva di preziosa carta filigranata la Repubblica Serenissima. Ma l’epidemia di peste del 1630 mandò in rovina l’economia locale e portò alla chiusura di gran parte delle cartiere. Ci furono oltre mille morti, e per evitare ulteriori contagi venne interrotto il traffico di stracci, materia prima da cui si estraeva la carta. Poi, lentamente, l’industriosità degli opifici riprese, fino ai primi del Novecento.