Camilla Baresani

Sommario

La valle delle cartiere e il lago di Garda

- Il Sole 24ore - Domenica - Storie

In un prossimo futuro, spinti dal pressante ecologismo salva-alberi e dalle fortune del mondo digitale, forse ne faremo a meno. Ma in questo momento siamo ancora pienamente immersi nella civiltà della carta, e ne subiamo il fascino. Un fascino che appartiene ai contenuti che vi troviamo stampati, ma che spesso è anche tattile. Volendo aggiungere elementi di fascinazione, ci sono quelli di storia artigianal-industriale e qualche sprazzo di cultura paesaggistica. Li troviamo felicemente riuniti nella valle delle cartiere, a Maderno, sul lago di Garda. Una forra inospitale e fascinosamente lugubre, che, dalla quiete luccicante di uno dei golfi più aperti e mediterranei del lago, si spinge all’interno del Parco dell’Alto Garda, accompagnata dal gorgoglio delle acque del Toscolano su cui incombe il monte Pizzoccolo. Da quando, nel 1962, anche l’ultima cartiera ha cessato l’attività, la vegetazione ha preso piede tra i dirupi e le rovine pittoresche degli antichi opifici: si fatica a immaginare come questa valle angusta abbia potuto essere al centro della produzione di carta pregiata sin dalla fine del Trecento, seconda solo a Fabriano. Verso la fine del Cinquecento, stipate nel paesaggio irto e segreto, furono censite ben 36 cartiere, la cui attività troverete spiegata e documentata alla Fondazione Valle delle Cartiere (www.valledellecartiere.it). Tutta la zona viveva dell’indotto di questa produzione, che forniva di preziosa carta filigranata la Repubblica Serenissima. Ma l’epidemia di peste del 1630 mandò in rovina l’economia locale e portò alla chiusura di gran parte delle cartiere. Ci furono oltre mille morti, e per evitare ulteriori contagi venne interrotto il traffico di stracci, materia prima da cui si estraeva la carta. Poi, lentamente, l’industriosità degli opifici riprese, fino ai primi del Novecento.

Oggi, la valle delle cartiere si è riconvertita in luogo di gite pittoresche. Dal parcheggio nei pressi della Fondazione si risale per uno dei tanti sentieri del Parco dell’Alto Garda, e dalla fenditura del fiume si raggiunge, in poco più di un’ora, l’altopiano di Gaino. Da lì si gode una vista spettacolare, che è al suo meglio alla fine dell’inverno: il grande bacino luccicante e quieto del lago, qua e là movimentato da isolette affioranti; il prospiciente massiccio del Monte Baldo, innevato e così vicino che si vorrebbe attraversare il lago da monte a monte, con un passo da Tiramolla per trovarsi dall’altro lato, sui campi da sci; la vegetazione della costa, verde come fosse estate, fatta com’è di pini italici e magnolie, di oleandri e cipressi, di olivi e lecci. E’ inverno, ma chi se ne accorge? Oltretutto, in questo periodo si è ancora al riparo dal turismo forsennato del week end e si può percorrere la gardesana occidentale da Salò a Riva senza colonne d’auto. Si riesce persino a visitare il Vittoriale (a Gardone Riviera) senza attese estenuanti, e si cammina in relativa solitudine sui sentieri del Parco che costeggiano il lago.
Uno dei luoghi comuni più usurati è che d’inverno i laghi sono tristi. Ma parlate per il lago Michigan, vorrei dire ogni volta che lo sento pronunciare, o per il Balaton, o per Loch ness. Perché il lago di Garda è allegro; e d’inverno è perfino – quietamente – festoso.