Il termine xennials io non l’avevo mai sentito, ma quando mi hanno spiegato a chi si riferisce mi ci sono subito riconosciuta – questo benché definisca gente più giovane di me. Gli xennials sarebbero una microgenerazione a sandwich tra chi è nato prima del ‘77 e chi invece è venuto al mondo dopo il 1985. Lo ha stabilito il sociologo australiano Dan Woodman, che si è preoccupato di dare un nome ai ragazzi che non sono nativi digitali come i millenials ma nemmeno rimpiangono l’esistenza analogica assaggiata durante i primi anni di vita, arcaica e inattuabile, dato che ormai persino i bisnonni hanno il profilo Facebook. Non la rimpiangono ma la ricordano: come si suol dire, fa parte del loro DNA.
Si tratta, in pratica, di una generazione di pesci fuor d’acqua, che hanno passato la loro infanzia e adolescenza in tempi in cui la digitalizzazione era pane per studenti di facoltà ingegneristiche e informatiche, mentre tutti gli altri vivevano in un mondo puramente elettrico, non collegato a internet.
I loro genitori e fratelli maggiori usavano i personal computer soprattutto nella funzione di macchina da scrivere evoluta, con schermo e senza carta, ma non navigavano nel web perché o non c’era o era troppo lento e costoso. In quegli anni ormai remoti, i collegamenti al web, le navigazioni, si pagavano a scatti, come il telefono. Ecco, il telefono: quando gli xennials frequentavano le elementari, avere un cellulare era dapprima tipico di ricconi che nelle loro Bentley e Ferrari custodivano immense cornette collegate alla plancia dell’auto. Poi divenne più diffuso, ma al massimo ci si mandava degli sms: ancora non li si usava per accedere al web. Gli smartphone erano di là da venire, i film si noleggiavano e li si vedeva su supporti o dvd, certo non li si scaricava, e quando si viaggiava in treno si leggevano libri e giornali, mentre ora si guardano i film.
Ma in pochi anni, il tempo necessario a questi xennials per diventare adolescenti, ecco affacciarsi un mondo di play station, di computer e iPod, con i primi barlumi di esistenza digitale. Cresciuti in un’epoca preselfie, senza social e senza vivere fotografando e filmando ogni più o meno rilevante momento dell’esistenza allo scopo di postarlo, gli xennials hanno più tardi, con gli anni, imparato benissimo, e si sono dunque immediatamente impadroniti di un’enorme massa di profili su Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat, cercando però di usarli alla vecchia maniera. Cioè: ti aggancio perché sei carino/a, perché sei amico/a di amici, perché siamo interessati agli stessi temi (vedi alle voci: complotti, indignazioni varie, animali domestici), ma la cosa non finisce qui. Ti do appuntamento, ci vedremo, andremo insieme a mangiare o passeggiare o qualsiasi altra cosa dei cari vecchi tempi della vita analogica. Lo xennial fa l’amore con il corpo e non con il visore sensoriale, e se i fattorini di tutte le app di delivery scioperassero, è in grado di cucinare qualcosa con le sue mani. Questo a differenza del millenial che invece tende a fare tutto direttamente sul social o sulla app, momento romantico e sesso incluso. Non essendo nativo digitale, lo xennial resterà sempre come uno che ha imparato l’inglese ma non è madrelingua, coltiverà un caro vecchio rispetto per un’epoca in cui ancora si scriveva con la penna e non ti veniva male alla mano alla quarta riga vergata, in cui si parlava anziché messaggiarsi, in cui ci si sforzava di imparare i numeri, le località, gli indirizzi
Chiaro che, come tutte le generazioni a cavallo di qualcosa, non sei mai né l’uno né l’altro, vivi sulla tua pelle quello che in politica chiamano terzismo o trasversalismo, ed è dal punto di vista creativo una situazione sommamente interessante e proficua perché ti permette di essere spaesato e al contempo anche a tuo agio. Lo xennial è insomma mimetico, e in un mondo in cui saltassero tutti i cloud per un attacco di pirataggio informatico, saprebbe farsene una ragione perché nella sua casa custodisce ancora tracce della vita precedente, come soldi in contanti, libri di carta, fotografie stampate, lettere di vecchie fidanzate/i scritte a mano, lettori di cd.
Tra i tanti vantaggi della vita da xennial, c’è anche una certa scaltrezza, o quantomeno una base di incredulità: ci si difende meglio dalle fake news, perché una volta c’erano già e si chiamavano leggende metropolitane, sono una costante della vita umana: questo lo xennial lo sa e per principio coltiva un certo scetticismo. E poi, quando guarda l’orologio e si rende conto che sta scorrendo profili Instagram da più di trenta minuti, si rende conto che non sta vivendo la migliore delle vite possibili, che forse dovrebbe alzare la testa e osservare anche qualcosa che non sia risucchiato dentro uno smartphone.
Soprattutto, lo xennial è l’ultimo dei testimoni. Quando le generazioni che l’hanno preceduto – la mia – non ci saranno più, resteranno i soli a custodire il prezioso ricordo dell’era precellullare, quella che ha cambiato il mondo rendendolo una provincia di qualcosa che si può trovare dentro a un telefono.