Non per fare gli Arbasino di turno, sempre a lagnarsi contro chi si mette in coda per l’ultima mostra (vorrebbe essere l’unico ad andarci?), tuttavia ci pare doveroso segnalare un fenomeno di dimensioni consistenti, soprattutto d’estate: il fatto che in Italia la sete di arte venga troppo spesso fatta scontare all’insegna del ‘ti acculturerai con dolore’. Già è noto che, per pagare il fio del piacere di visitare musei e mostre, tocca sottoporsi a file spaventose, sotto il sole e la pioggia, quando basterebbe istituzionalizzare il sistema delle prenotazioni. Ma le sofferenze degli spettatori dei festival estivi non sono da meno: forse non cos’ evidenti, ma altrettanto penose. Che la causa stia nella carenza di fondi o nella cronica disorganizzazione mentale degli organizzatori, fatto sta che il successo di gran parte dei festival ‘ fondato su una genia di spettatori di ferro che hanno sviluppato un sistema neurovegetativo darwinianamente migliorato. Resistono per puro amore della cultura a seggioline rigide e scalcagnate in sale senza aria condizionata, in piazze umide con effluvi di fogna, in cortili soffocanti invasi da zanzare. E questo ‘ nulla se confrontato con certe lungaggini dei dibattiti, con introduttori e relatori che sbrodolano sul pubblico interventi zeppi d’interiezioni, di pause e frasi ripetitive, preoccupati solo di non cedere il microfono. Non si parla di ragazzi, che pur di ascoltare un concerto soffrono per ore in uno stadio, bens’ di adulti e spesso anche di anziani. Persone gi’ messe alla prova dal lavoro e dalla famiglia, che magari sono state fino a mezz’ora prima nella gelida aria condizionata di un ufficio o a preparare la cena per i figli, e poi vanno a terminare la giornata in un bagno di calore e insetti e parole.
Fra gli spettatori esiste anche una ristretta categoria di mondani, individui che sperano di trovarsi fotografati sui giornali e dunque soffrono, ma per scopi meno nobili. A questa seconda categoria possiamo ascrivere i frequentatori dei premi letterari; per esempio, per dire i più noti, lo Strega a Roma e il Campiello a Venezia. Se il primo si svolge in una sorta di catino architettonico in cui l’aria ristagna, e va avanti ore e ore per via delle esigenze del palinsesto televisivo, sulla finale del secondo, ai primi di settembre, non ‘ raro che incombano micidiali serate di freddo lagunare, umido e ventoso. È rimasta famosa l’edizione di qualche anno fa, al termine della quale venne restituita solo una minima parte delle coperte di cachemire messe a disposizione del ricco pubblico di notabili veneti. Furti? No: il dovuto gettone di presenza, avranno pensato gli spettatori.