Camilla Baresani

Sommario

JACK LONDON, lo scrittore che ha inventato il ”palazzo dei maiali”

- Sette - Corriere della Sera - Storie

A cento anni dalla morte, viaggio nei luoghi dove visse l’autore di Zanna Bianca. Fu spazzino, lavandaio, pescatore di ostriche, cercatore d’oro, reporter di guerra. Pubblicò 50 libri prima dei quarant’anni. Con il denaro guadagnato costruì un grande ranch. Ma a perseguitarlo c’era la sfortuna.

Quando, cento anni fa, Jack London morì nel letto del suo studio, aveva quarant’anni ed era al colmo del successo nonché, apparentemente, del vigore fisico. A trovare il suo cadavere fu la cognata, che era andata a portargli la colazione nella veranda annessa al suo grande studio del Beauty Ranch, a Glen Ellen, in California. L’immensa tenuta – circa 600 ettari – si trova nel cuore della Sonoma Valley, a un’ottantina di chilometri da San Francisco, la città in cui London era nato. L’aveva acquistata solo undici anni prima, nel 1905, e contava di passarci il resto della vita, dedicandosi tanto alla scrittura quanto all’agricoltura.

Lo scrittore usava quel letto per distendersi mentre lavorava intensamente a un nuovo libro, che, come sempre, avrebbe scritto seguendo il proprio inconfondibile marchio narrativo semi-autobiografico, alimentato dalle innumerevoli avventure vissute. A mezz’altezza, sopra il letto, era tirato un filo su cui era solito appendere con mollette da bucato appunti di immagini e ricordi che gli apparivano mentre riposava. Accanto al suo corpo furono trovati una siringa, un laccio emostatico e una fiala. Qualcuno ipotizzò il suicidio, ma molto più probabilmente si trattò di un’overdose. Sul suo cadavere e sulle fotografie che lo ritraggono prima della morte, la scienza medica si esercita ancor oggi, alle ricerca di spiegazioni scientifiche e soluzioni psicologiche.

London, nonostante l’aspetto imponente e solido – testimoniato anche dalle immagini scattate pochi giorni prima della morte, che oggi si possono vedere nel museo fatto costruire nel ranch dalla moglie – era in realtà affetto da molte gravi patologie. Innanzitutto sifilide, poi alcolismo e malanni dovuti a malattie tropicali non del tutto guarite. Quando lo si incontrava (e ritraeva) di mattina, sembrava sprizzare energia, ma nel pomeriggio il suo stato cominciava a peggiorare vistosamente. Oltre che dall’alcol, era dipendente dagli antidolorifici, cioè dalla morfina.

Nel 1916, London non solo era uno degli scrittori più popolari e pagati del mondo, ma aveva già vissuto innumerevoli vite: era stato un “figlio del peccato” (la madre lo aveva concepito con un astrologo subito dileguatosi), poi era stato adottato da John London, un povero invalido che aveva sposato la madre, e, ancora bambino, si era dato da fare come strillone e fattorino. Successivamente era stato operaio, spazzino, pescatore di ostriche, ma anche studente autodidatta e appassionato frequentatore di biblioteche. Aveva viaggiato senza biglietto sui treni facendosi arrestare per vagabondaggio, aveva partecipato a battute di caccia alla foca nel mar del Giappone, aveva fatto il lavandaio, aveva cercato l’oro nel Klondike. Fino a diventare quello che aveva sempre voluto essere: un giornalista, un reporter di guerra, un leader del movimento socialista e, soprattutto, uno scrittore. Si era anche sposato e aveva avuto due figlie, ma le sue idee libertine non coincidevano con quelle da lui ritenute bigotte della moglie, e le aveva lasciate tutte e tre. La seconda moglie, Charmian, una ragazza molto sportiva, dal carattere disinibito e anticonvenzionale, l’aveva seguito nelle navigazioni più avventurose e nei tentativi di impiantare un’azienda agricola d’avanguardia, oltre che nei periodi di ritiro e scrittura compulsiva che lo portarono a firmare più di cinquanta libri prima dei quarant’anni.

In pratica, come si suol dire, la vita di Jack London fu il suo miglior romanzo.

Tutti i soldi guadagnati a partire dal successo straordinario de Il richiamo della foresta, pubblicato nel 1902, seguito dall’ulteriore successo di Zanna Bianca, Il tallone di ferro, Martin Eden, gli servirono principalmente per due cose: nel  1906 si fece costruire la barca dei sogni, lo Snark, su cui veleggiò con Charmian per due anni tra mari del Sud e Australia. Ma soprattutto li utilizzò per comprare nel 1905 la tenuta che battezzò Beauty Ranch. Oltre a cercarvi le condizioni ideali per scrivere e per ricevere (a quel punto, London era una celebrità internazionale: tutti volevano incontrarlo e a lui piaceva avere ospiti), quella tenuta gli serviva per mettere in pratica le proprie teorie sociali, agrarie e animaliste. In un certo senso, le sue ambizioni ricordano quelle di un personaggio letterario, il Levin protagonista di Anna Karenina, cui Tolstoj prestò le proprie idee sociali e le ambizioni agrarie ispirate alle esperienze maturate nella tenuta di Jasnaja Polijana.

Nel 1959, il Beauty Ranch è diventato un parco statale, e ora si chiama Jack London State Historic Park. Se un tempo era in un’area disabitata, oggi è nel cuore di una delle zone enologicamente più ricche degli Stati Uniti, la Sonoma Valley, adiacente alla Napa Valley. In un appunto di London, che si trova nel museo del ranch assieme a infiniti ricordi di viaggio, prime edizioni di suoi libri, lettere e fotografie, leggiamo: “Da un punto di vista puramente utilitaristico, con il ranch spero di ottenere due cose: lasciare la terra in condizioni migliori di quelle in cui l’ho trovata e permettere a trenta, quaranta famiglie di vivere felici su un suolo che in precedenza è stato malamente sfruttato”.  Per acquistare la tenuta, non bastarono i soldi già guadagnati. Così London scrisse al suo editore chiedendo un anticipo di 6500 dollari. Questa la descrizione che ne fa: “È la terra più bella e primitiva che io abbia mai visto. Ci sono grandi sequoie, alcune vecchie di migliaia di anni… Enormi quantità di abeti, querce, aceri e corbezzoli… E poi canyon, ruscelli, cascate… Tutto quello che posso dire è che non avevo mai visto niente di simile”. Indeciso tra darwinismo e socialismo, London aveva un programma ambizioso: migliorare le macchine agricole, migliorare le condizioni dei lavoratori, migliorare le colture.

Per mantenere il ranch, ed esperimentare tutte le più innovative e costose pratiche agricole esistenti, London decise che da quel momento avrebbe scritto solo romanzi e novelle molto commerciali, usando una lingua chiara e semplice, per raggiungere più lettori possibile. Creò terrazzamenti come quelli che aveva visto in Corea e Giappone e tentò senza successo la coltivazione di cactus senza spine, come li aveva visti alle Hawaii, per farne foraggio. Costruì silos in cemento come non se ne erano mai progettati in California e piantò migliaia di eucaliptus, che però non sopravvissero perché era stata scelta la specie sbagliata. Scavò un lago artificiale per i bagni estivi e per piccole gite in barca e costruì stalle ampie e arieggiate. Migliorò la distilleria e la zona dove abitavano gli ospiti, oltre alle abitazioni dei braccianti. La cosa che però fece più scalpore fu la nuova porcilaia, definita per il suo costo esorbitante “Pig Palace” da un giornalista di San Francisco. Progettata a Londra, ospitava pregiati suini Duroc Jersey perché potessero vivere e riprodursi in un ambiente pulito, areato e confortevole. Per i lavori iniziali di dissodamento e costruzione, London reclutò operai tra coloro che tornavano senza successo dalla corsa all’oro. Italiani, cinesi, irlandesi, messicani, tra cui molti avanzi di galera.

Come quasi sempre capita ai sognatori, dal punto di vista della redditività economica il ranch fu un vero fallimento.

Poco dopo il terrificante terremoto di San Francisco del 1906, London, che abitava con Charmian in un paio di cottage collegati da una veranda, decise di costruirsi una nuova casa. Aveva bisogno di spazio, per sé e per i propri ospiti. Scelse un sito in una radura soleggiata tra le sequoie e progettò con un architetto la “Wolf House”, la casa dei sogni. Venne edificata su fondamenta solidissime, con 26 stanze, 9 caminetti, acqua calda, ghiacciaie, biblioteche… C’era proprio tutto, ed era il meglio dell’epoca. “La mia casa starà in piedi, a Dio piacendo, per migliaia di anni”, scrisse. Purtroppo, un mese prima di andarci ad abitare, nel 1913, la casa andò a fuoco. Era talmente solida che la struttura è rimasta sino a oggi. Le sequoie l’hanno quasi circondata, ma si apprezza ancora la solidità dell’impianto, il colore caldo delle pietre di fiume con cui era stata costruita, la suddivisione razionale degli spazi. London reagì con il consueto dinamismo, dedicandosi ad altre migliorie agricole e decidendo che l’avrebbe ricostruita, migliorando ulteriormente il primo progetto. Ma, come sappiamo, purtroppo non fece in tempo perché morì solo due anni e mezzo dopo.

Jack e Charmian rimasero così ad abitare nei due chalet accanto alle residenze dei braccianti. In uno c’era il salotto, con piano e grammofono, e la cucina. Nell’altro, due camere da letto per ospiti, la stanza di Charmian e il grande studio dello scrittore con la piccola veranda dove è morto. Accanto, le stanze di Charmian, che non sopportava il fumo (suo marito fumava e beveva senza risparmio). London, che era anche un goliarda, aveva creato un buco nel pavimento sotto un letto degli ospiti, facendovi scorrere una corda agganciata a una gamba del letto; di notte, tirava la corda e scuoteva il letto, così l’ospite, già terrorizzato dal terremoto del 1906, scappava fuori dalla casa pensando che la faglia di Sant’Andrea fosse di nuovo in moto. Sia i due cottage sia la casa-museo pullulano di memorabilia londoniane, e sono gestiti da un’associazione no profit, con maestre in pensione che, piene di vigore affabulatorio, si dedicano a illustrare la vita, i luoghi, gli oggetti dello scrittore.

Camminare (o andare a cavallo) nel Jack London Historic State Park è, come sempre nei parchi americani, una grande soddisfazione. La natura viene addomesticata ad uso dei turisti quanto basta, preservandone l’aspetto selvaggio e grandioso. Non ci sono bar né ristorantini, solo tavoli per picnic in poche radure. Lungo i sentieri, i cartelli avvisano che i serpenti a sonagli vanno rispettati e lasciati in pace, che non bisogna ingerire foglie di quercia, perché appartengono a una specie velenosa, che i puma sono “importanti membri della comunità di quest’area” e tendono ad attaccare i bambini: quindi si consiglia di tenersi stretti i pargoli e di camminare in gruppo facendo rumore, in modo da lasciare ai felini il tempo di allontanarsi anziché rischiare di sorprenderli, spaventandoli. Noi non abbiamo incontrato né puma né serpenti, e rimane il dubbio che questi cartelli siano elementi di pittoresco americano, proprio come la frutta e la verdura fresca che le volontarie mettono nella cucina del cottage, per imprimere un tocco vitale alla casa dello scrittore defunto un secolo fa.

London aveva disposto che le sue ceneri fossero seppellite sotto una pietra, e così pure Charmain, molti anni più tardi. Accanto alla “loro” pietra ci sono le tombe dei figli di John Greenlaw, il precedente proprietario di quella parte della tenuta, morti a quattro e sette anni. Greenlaw era un pioniere irlandese-scozzese che aveva tentato la fortuna in quella terra di frontiera impiantandovi vigne; ma la celebre epidemia di filossera di fine Ottocento infettò tutte le piante e alla fine degli anni ’70 John se ne andò, lasciando le tombe dei suoi figli in cima a una collina, sotto le sequoie, segnalate da cippi di legno protetti da un recinto. Jack London e sua moglie scelsero di restare accanto a quei due bambini.