Camilla Baresani

Sommario

La scelta di Angela, pioniera del riscatto

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Nella piazza centrale di Desenzano del Garda, che affaccia su un pittoresco porticciolo di pescatori, campeggia in cima a un alto basamento la statua di Sant’Angela Merici, fondatrice delle Dimesse di Sant’Orsola, ossia della Congregazione delle Orsoline. Nata nel 1474 e morta a sessantasei anni nel 1540 (una donna davvero longeva, per quei tempi), fu proclamata Santa quasi tre secoli più tardi, nel 1807. Poco più di trent’anni prima dell’esito del processo di canonizzazione, il bresciano Gelfino Calegari, “ingaggiato dai concittadini”, come sta scritto sul piedistallo del monumento, aveva scolpito nel marmo la futura Santa, seguendo il tipico stilema dello sguardo rivolto al cielo e degli abiti dimessi, da viandante. 

Angela era nata in una famiglia contadina che viveva in una miseranda cascina della località Le Grezze, a due passi dall’importante abbazia benedettina di Maguzzano, che però da pochi anni era stata distrutta dalle truppe visconte e venne ricostruita nel 1492, quando Angela era appena andata a vivere da uno zio relativamente benestante, a Salò, sempre sul lago di Garda. La prossimità a un luogo monastico tra i più importanti del nord Italia contribuiva da secoli alla religiosità dei desenzanesi, cosicché Angela crebbe ascoltando ogni sera il racconto delle vite dei santi, fra cui, probabilmente, anche quella di Sant’Orsola. Leggendaria figura femminile del primo medioevo, Orsola era la figlia di un re cattolico dei Britanni e venne assassinata dagli Unni a Colonia mentre, sfuggendo un matrimonio combinato, tornava da un pellegrinaggio a Roma in compagnia di un migliaio di vergini sue sodali, da lei istruite alle verità della fede. In pratica, una donna fiera e indipendente, un’attivista, una figura carismatica dedita all’insegnamento e alla sorellanza.

Torniamo alla giovane Angela. Come accadeva a quei tempi, le famiglie venivano decimate dalle malattie e difatti in pochi anni morirono il padre, la madre e i quattro fratelli maggiori, sicché Angela e la sorella superstite nel 1492 si trasferirono a pochi chilometri da Desenzano, ospiti dello zio materno di Salò, che le accolse con affetto facendo in modo che le ragazze avessero un’istruzione adeguata: norme igieniche, norme religiose, saper leggere e fare le somme. Angela aveva a quel punto diciotto anni. Gli uomini scarseggiavano perché coinvolti nelle continue guerre della Repubblica Veneta, di cui Brescia e relativo contado facevano parte. Le prospettive della giovane potevano dunque essere quella più ardua di trovare un marito, magari un vedovo con figli (a quei tempi, se erano sfuggiti alla morte per malattia, gli uomini morivano in guerra mentre le donne morivano di parto), oppure, più facilmente, di andare a servizio da qualche nobile signora locale , o, ancor più facile, di restare incinta per innamoramento o per stupro e finire in mezzo alla strada a mendicare, o magari di ritirarsi in qualche convento. E, paradossalmente, i conventi erano spesso luoghi di corruzione e di peccato. Morta anche la sorella, Angela si fece invece terziaria francescana. Tempo due anni e venne a mancare pure lo zio, così Angela tornò a Desenzano, nella casa dei genitori, dove iniziò una piccola scuola insegnando il catechismo alle bambine di Desenzano.

In seguito, trent’anni più tardi, con scatto sia religioso sia sociale, fonderà la Congregazione delle Orsoline.

Tornando alla sua statua, benché Angela incarnasse la figura di una donna particolarmente dedita all’amore verso i bambini bisognosi di educazione, e soprattutto al tema della libertà femminile (che ai tempi significava solo un minimo di dignità e istruzione), il suo ruolo innovativo venne tuttavia misconosciuto dai giacobini che spadroneggiavano a Desenzano a fine Settecento; e infatti la scultura venne rimosso nel 1797 dalla piazza del paese in favore di un “albero della libertà”. I devoti desenzanesi riuscirono poi a riportarla al suo posto nel 1800.

Se rileggiamo la storia di Angela Merici applicando alle condizioni del passato le istanze del presente, non possiamo che considerarla una figura carismatica del riscatto femminile, una progenitrice. L’istruzione (non solo religiosa), la liberazione dal gioco dei matrimoni combinati o dal sesso punitivo che ti porta a finire sulla strada, la conquista del fondamentale ruolo pedagogico, e soprattutto di una dignità, sono i primi passi di quella corsa impetuosa e piena di inciampi che oggi ci porta a rivendicare un pari trattamento sul lavoro e nella vita privata.

Naturalmente, la leggenda ha riempito la vita di Angela dei luoghi comuni della santità: le visioni rivelatorie, i pellegrinaggi in Terra Santa e a Roma, il miracolo della vista persa durante il pellegrinaggio e poi ritrovata al ritorno a Brescia. Ma quello che resta, al di là delle storie da “vita della Santa”, è la figura di una donna di carattere, indipendente e che ha trovato nella fede e nella sua testimonianza un ruolo di sorella tra sorelle, un modo di prendersi cura del destino di chi non ha mezzi, lasciando un’istituzione solida che continuasse il proprio operato.  

Quando nel 1530 Angela fondò la sua società religiosa – la Compagnia di Sant’Orsola ufficializzata poi nel 1535 -, l’obiettivo non era quello di rifugiarsi nella preghiera con le sorelle, bensì di avere una casa comune da cui partire ogni giorno per andare in mezzo alla gente e svolgere missioni caritatevoli e di affiliazione, in pratica salvare i giovani donne da miseria, sopraffazione, ignoranza. Di fatto, la Compagnia è stato il primo istituto religioso secolare: per Angela ciò che contava non era rinchiudersi in un monastero ma vivere nel secolo, e ne è prova che volle che il governo delle Orsoline fosse gestito da “vergini” e però anche da “matrone”, cioè vedove appartenenti all’aristocrazia bresciana che, proprio per la loro esperienza concreta di madri, potessero prendersi cura con una presenza sollecita e affettuosa della vocazione e delle necessità delle “figlie spirituali”. Sempre in fatto di primati, le Orsoline sono la prima fondazione religiosa che valorizzi l’esperienza e le risorse delle vedove abbienti: oltre a occuparsi della sfera privata delle giovani sorelle, avevano un ruolo politico. Si occupavano cioè dell’inserimento di questa nuova istituzione femminile nella società politica e civile del tempo. Un legato di amore, umanità e sorellanza che ancora oggi perdura nella sessantina di compagnie di Orsoline secolari e di congregazioni religiose presenti in Italia e all’estero.

Della splendida esperienza di suor Rita Giarretta, delle sue consorelle e di Casa Rut, che a Caserta dal 1995 si occupa di ridar vita a donne migranti vittime della tratta, ha scritto su queste pagine Carola Susani. È solo uno dei tanti lasciti morali che, a secoli dalla morte di Sant’Angela Merici, realizza le intuizioni di questa donna visionaria: per lei il progresso della società doveva includere l’istruzione del mondo femminile, e il modo migliore per raggiungere questo obiettivo era l’apostolato, la militanza, l’inclusione.

A Desenzano, oltre alla statua di Angela, sul cui piedistallo siedono a contemplare il porticciolo e il ponte alla veneziana turisti che magari non sanno nulla della sua storia straordinaria, c’è la sede del Mericianum. Costruito proprio dove si trovava la sua casa natale, è il centro di spiritualità ispirato alla Santa. Dal ‘78, oltre a studiare il “carisma mericiano”, si occupa di favorire le relazioni sororali tra Orsoline secolari e religiose.