Dal ’94 a oggi sono state presentate ben otto proposte di legge (la prima fu di Cristina Matranga, allora di Forza Italia) sul tema della trasmissione del cognome materno a figli riconosciuti da entrambi i genitori. Stefania Prestigiacomo si è dichiarata favorevole a una revisione della norma e ha annunciato un disegno di legge del governo. Delle otto proposte, solo una prospetta l’esclusiva trasmissione del cognome materno: le altre contemplano la scelta di un cognome di famiglia da parte dei genitori all’atto della nascita, oppure il doppio cognome nell’ordine stabilito dalla coppia e, in mancanza di un accordo, in ordine alfabetico. Inoltre, l’erede cui vengono assegnati due cognomi, quando avesse a sua volta dei figli, dovrebbe scegliere quale dei due trasmettere.
Difficile credere che il superamento della concezione patriarcale della famiglia debba passare attraverso il rifiuto della trasmissione di dati anagrafici secondo i canoni di una tradizione millenaria. E’ più probabile, invece, che la complicazione della libertà di scelta finisca per trasformarsi in un’ulteriore costrizione.
Dare il solo cognome della madre finirebbe per cancellare l’ultimo residuo segno di legame (seppure simbolico) e responsabilità paterna. Alle mamme la gravidanza, il parto, l’educazione, e il padre sempre più semplice fornitore di sperma. E il doppio cognome? E’ un’ipocrisia: o diventa quadruplo alla generazione successiva, oppure è una mera dilazione, è il lascito ai propri figli di una scelta che sarà spiacevole. Una volta divenuti a loro volta genitori dovranno decidere se deludere mamma o papà, a seconda del nome che verrà trasmesso al nipotino. E poi, via: un singolo cognome è infinitamente più comodo. Non ci si immagina mai quanto sia snervante recitarne uno doppio prenotando aerei, posti in teatro, nelle ordinarie vicende burocratiche…
Con la litigiosità coniugale in continuo aumento, ci si diverte a elencare quanti nuovi contenziosi si creerebbero. La coppia decide di assegnare al pupo il cognome della madre. Poi lei s’innamora di un altro. A quel punto il marito, oltre al divorzio, pretenderà che il tribunale cambi il cognome del figlio, perché la madre non è degna. Oppure: una donna decide di lasciare ai figli il cognome del marito. Anni dopo potrà fargli causa sostenendo d’essere stata plagiata al momento della decisione, ci saranno perizie e controperizie, si istituiranno speciali branche di Sacra Rota. Un figlio litiga col padre: si rivolgerà al tribunale per portare solo il nome della madre. Non solo: la possibilità di scelta spingerà fatalmente ad attribuire ai discendenti il cognome più altisonante, quello del genitore di maggior rilievo sociale.
Non sarà che in questo caso difendere una tradizione sia un gesto di libertà, meno conservatore di chi vuole distruggerla?