Immaginate un parco artistico straniante e coloratissimo, come una cittadella costruita dagli alieni nel mezzo di una placida campagna riarsa dal solleone, tra covoni di paglia e strade bianche e casali country-chic che si intuiscono oltre folte bordure di oleandri e mirti. Siamo nella Maremma più ricca, quella di Capalbio, buen retiro di aristocratici e intellettuali old money, di manager e boiardi, di finanzieri ed ereditieri.
Nel 1979, una celebre coppia di artisti, Nicki de Saint Phalle e Jean Tinguely, ottenne dagli illuminati proprietari della grande tenuta agricola di Garavicchio, i fratelli Carlo e Nicola Caracciolo, la concessione di un terreno di due ettari per realizzare le monumentali e stralunate fantasie di Nicki. Iniziò così la progettazione del Giardino dei Tarocchi, nel mezzo dei poderi agricoli, su un dosso da cui si guarda il mare. L’ispirazione era sorta in Nicki de Saint Phalle dopo aver visitato il Parque Guell di Barcellona, opera di Antoni Gaudí, e il Parco dei Mostri di Bomarzo, voluto nel ‘500 dal principe Orsini. Aggiungiamo che l’artista franco americana, quando decise di fondare questo regno della bizzarria era ormai celebre proprio per le sue stravaganti statue obese, le Nana.
Con la collaborazione del marito, che integrò le creazioni con le sue mécaniques, ossia le sculture semoventi che lo hanno reso famoso, e con il supporto di un’equipe di eccelsi artigiani e di amici artisti, il sogno si realizzò. Dopo 17 anni di lavoro e una spesa di circa 10 miliardi di lire (finanziati dall’artista), nel 1998 il Giardino dei tarocchi era pronto per essere inaugurato, con le sue ventidue creature costruite in acciaio, cemento, vetri, specchi, tessere di sgargiante maiolica. L’architetto Mario Botta completò il parco con una muraglia in tufo che all’ingresso funge da stacco, prima di precipitare dalla prosaica realtà quotidiana dentro una “pausa magica”, come la chiamava Nicki de Saint Phalle.
Ognuno di noi, oltre quel muro, diventa un’Alice nel paese delle meraviglie, libero di inventarsi protagonista di strambe avventure, in una nicchia spaziotemporale dove le case hanno la forma degli arcani dei tarocchi, la Papessa, il Mago, il Sole, il Papa. La ruota della fortuna, creata da Tinguely, è posta accanto a figure femminili ampie e materne, che rimandano alle fantasie conseguenti al “calvario fisico e psichico” della de Saint Phalle, abusata dal padre quando aveva 11 anni. Lo racconterà in Mon secret, memoir da lei splendidamente illustrato e pubblicato nel 1994. L’arte come forma di sublimazione del segreto troppo a lungo custodito da questa bellissima, eterea, aristocratica figlia di un banchiere fallito, cresciuta tra la Francia e gli Stati Uniti. Un segreto che in lei ha generato fantasie sul corpo femminile, tra il gioioso e il mostruoso, alla radice di buona parte delle sue creazioni artistiche. Per esempio, Hon/Elle, donnone multicolor progettato nel ’66 per il Moderna Museet di Stoccolma. Una gigantessa sdraiata e incinta, “terapeutica”, come l’artista definiva molte delle proprie opere. Costruita in poliestere, lunga 28 metri (e alta 6, larga 9), i visitatori potevano esplorarla, entrando e uscendo dalla vagina del corpaccione femminile. Immaginate lo scandalo, benché ci si trovasse in Svezia e non a Città del Vaticano.
Forse, proprio per quello che le toccò subire da bambina, e anche per le successive scelte femministe e ambientaliste ai tempi tutt’altro che scontate, Nicki de Saint Phalle e il suo Giardino dei Tarocchi sono stati segnalati ai Ferragnez (la coppia Ferragni – Fedez), a caccia di un’esperienza in quello che Freud chiamava Unheimliche, il perturbante, e comunque ormai da tempo impegnati a riposizionare la propria immagine. Divenuti straricchi e maturi, di fatto una riuscita coppia borghese con figli, vogliono mostrare di non limitarsi a sponsorizzare mutande, futili accessori e alberghi di lusso, ma prestano la propria immagine per promuovere campagne sociali per l’inclusione e anche per incoraggiare l’acculturamento dei seguaci (i followers), contando che li emulino nel visitare mostre e musei. Capita così che ai primi di maggio, dopo aver contattato la direzione del giardino dei Tarocchi e contrattato le condizioni della visita, i Ferragnez siano planati con famigliari e collaboratori nel giardino appositamente chiuso al pubblico, si siano quindi precipitati a scattare innumerevoli selfie e fotografie e filmatini tra i colori accesi delle maioliche e nella rifrazione dei mosaici di tessere a specchio, con la Ferragni molto gentile e disponibile a selfizzarsi accanto a eventuali fan, e Fedez invece nella parte del rivoluzionario scorbutico (la lotta di classe delle periferie milanesi versus il regno del rural chic). Con loro, il figlio ormai divo, il piccolo Leone protagonista di tanti sketches del geniale Crozza (da lui ribattezzato Leonez). Poi, così come è arrivata, la comitiva Ferragnez in breve è svanita portandosi via lo stormir di clic emessi dai telefonini, generando però uno sciame sismico sui social, che hanno registrato in poche ore il crescere esponenziale dei like e dei commenti (alcuni sul giardino, altri sui vestiti indossati), fino ad arrivare a mezzo milione sul profilo di Chiara Ferragni, 135mila sulla pagina della sorella influencer minore, 40mila su quello della sorella dentista. A causa delle limitazioni imposte dal Covid, l’impatto sui biglietti è difficile da calcolare, ma per certo centinaia di migliaia di persone, quante visitano il giardino in un lustro, si sono accorte della sua esistenza e speriamo che vadano a visitarlo. Per giunta, quest’estate a Capalbio in due sedi espositive sono raccolte più di cento opere della de Saint Phalle, alcune delle quali mai concesse prima dai collezionisti, il tutto in contemporanea col MoMa di New York dove è in corso fino a settembre una grande retrospettiva dell’artista. Questa è indubbiamente l’estate dell’avanguardistica Nicki, cosa che giustamente non è sfuggita agli scaltri e amabili Ferragnez.