“Chi è un dipendente? La maggior parte di noi non deve porsi questa domanda due volte. Noi lo sappiamo. Tutta la nostra vita e il nostro pensiero erano centrati sulle droghe: trovarle, usarle e scovare modi e mezzi per averne di più. Vivevamo per usare e usavamo per vivere. Molto semplicemente, un dipendente è un uomo o una donna la cui vita è controllata dalle droghe. Siamo persone nella morsa di una malattia continua e progressiva, i cui esiti sono sempre gli stessi: prigioni, ospedali, morte”. La lettura ad alta voce di questo paragrafo, così sinistro e drammatico, fa parte del rituale delle riunioni dei Narcotici Anonimi, una libera associazione senza fini di lucro, diffusa in modo capillare in tutto il mondo e apparentata agli Alcolisti Anonimi.
Ho partecipato a Milano ad alcune riunioni di questa “fratellanza”, nella sessione mensile aperta agli esterni, cioè ai non dipendenti. Ero di fatto l’unico ospite, accolto senza diffidenza, anzi con calore. I Narcotici Anonimi, alla base del cui metodo di cura c’è l’anonimato personale, hanno tuttavia piacere che si faccia propaganda, perché è basilare la “fratellanza” tra dipendenti vecchi e nuovi, liberi o meno dalla droga. Il rituale delle riunioni è molto preciso: prima la lettura di alcuni passi fondamentali della teoria e della pratica dei NA; poi la “condivisione”, ossia il racconto succinto di sé in relazione al problema di dipendenza di cui si soffre. I termini più frequenti sono “essere puliti”, “usare” o “usare la sostanza”, “complegiorno”, “complemese” (cioè da quanto tempo si riesce a essere puliti). A ogni menzione di complequalcosa scoppiano applausi: ognuno fa il tifo per gli altri. Il servizio di volontariato prestato dai dipendenti puliti è lo strumento con cui si curano i tossici, ma è anche la cura in sé. Dipendenti lo si è per sempre: questo è un principio fondamentale. Non si guarisce mai: benché puliti dalle droghe, bisogna rendersi conto che si è sempre a rischio di ricadute. Perciò, durante le riunioni, si può sentire indifferentemente: “Sono Claudio, sono tossico e alcolista, sono pulito da ieri” o “Sono Anna, sono tossica e sono pulita da 11 anni”. Non conta da quanto si sia puliti: conta solo la giornata: “Solo per oggi” è il dettato quotidiano di chi frequenta i NA.
“Ogni giorno da puliti è un successo, ogni giorno vissuto con sincerità è un risultato,” mi dice Filippo, che mi ha guidato alla riunione, nella parrocchia di Piazza Wagner a Milano. Filippo, un broker cinquantenne, è pulito dalla cocaina da due anni, anche se continua a bere vino, pur con moderazione. Ma per la regola dei NA anche il vino è una droga (molti tossici spostano la dipendenza dalla cocaina all’alcol o al gioco), quindi Filippo non può fare da sponsor a un nuovo arrivato, aiutandolo nel tentativo di sconfiggere la propria malattia. Alla base di ogni dipendenza, come spiegano gli opuscoli che si consiglia di leggere e rileggere, c’è la presa di coscienza dei propri “difetti di carattere”, dei propri torti e insufficienze, di come le menzogne dette agli altri ma anzitutto a se stessi siano la propria prigione. Il continuo esame di coscienza che fa parte del programma non basterebbe se non ci fosse l’incoraggiamento a un “risveglio spirituale”, cioè a trovare in un Dio la forza quotidiana necessaria a prendersi le proprie responsabilità anziché buttarla subito in droga o alcol.
In America il metodo e le riunioni di AA (Alcolisti Anonimi) e NA sono così diffusi da essere rappresentati in una quantità di film e romanzi. Il presidente degli Stati Uniti ogni anno saluta le “fratellanze”, cioè AA e NA, che sono associazioni note e apprezzate. E gran parte delle serie televisive americane più note ha il tema della dipendenza da droghe o pillole o sesso al centro della sceneggiatura: Dr. House, Californication, Royal Pain, The cleaner, Nurse Jackie.
“A Milano,” mi dice Piero, un corniciaio che è stato pulito per 7 anni, poi è ricaduto nella droga per 2 mesi e ora è pulito da 3 settimane, la dipendenza dalla cocaina è diffusa oltre ogni immaginazione. “Non è più la droga dei ricchi,” spiega. “Chi ha usato sostanze sa tutto dei tossici, li individua anche tra gli insospettabili, tra quelli che hanno un lavoro normale e spesso una famiglia: l’autista dell’autobus, il fattorino, l’assistente del dentista e il dentista stesso, l’amministratore del condominio ma anche la donna che viene a pulire le scale con la sua bambina che non sa a chi lasciare”. I segni che portano all’individuazione sono tipici: “Il cocainomane si lamenta sempre. È stremato: ‘ahh, guarda, lasciami stare’ è la frase tipica. Tutti sono imbecilli, tutto lo irrita, ce l’ha con l’Italia, con il capo del governo, col portiere, col barista. Vorrebbe unicamente starsene a casa, a drogarsi buttato sul letto, masturbandosi davanti alla televisione. Vive di inganni e bugie, dette alla mamma, al datore di lavoro, alla moglie e ai figli che l’hanno lasciato”.
La rabbia, il vittimismo, i cambi d’umore repentini, rinviare gli impegni, mancare gli appuntamenti, difendere con arroganza il punto di vista che non si ha, alzarsi e andarsene, l’insofferenza, la frenesia a vuoto… tutti atteggiamenti propri del cocainomane. Naturalmente ci sono anche conseguenze fisiche: mal di testa furiosi, tachicardia, insonnia, paranoie, le narici che fanno male per la patina di cocaina secca che le rende insensibili.
La cura dei NA, spiega Piero, si basa sull’anonimato anche per spegnere l’eccesso di arroganza e di autoconsiderazione del tossicodipendente. Non devi emergere, non sei speciale, non sei identificabile. L’anonimato è una forma di liberazione. L’umiltà è fondamentale, serve ad accettare la propria impotenza. “Risentimento, rabbia, paura (di venire scoperti) devono, secondo le indicazioni dei NA, lasciar posto ad accettazione, amore, fede. Capisco che sembri utopistico eppure succede,” sostiene Piero. Mentre scendiamo le scale della parrocchia dove si è tenuta la riunione, Filippo mi spiega che in genere chi arriva ai NA ha toccato il fondo: è già andato in carcere, in ospedale, in comunità. Nulla li ha curati, sono sempre ricaduti. Le comunità, mi spiegano, sono utili nella fase acuta di disintossicazione, ma poi, quando il dipendente deve tornare alla vita quotidiana, con lo spacciatore che lo viene a cercare a casa, i debiti, la moglie che l’ha lasciato e i figli che gli sono stati sottratti, cosa può fare? Come fa a non ricadere alla prima difficoltà, al primo inciampo, al primo guasto dell’auto senza aver soldi per ripararla? Solo la rete quotidiana dei NA, il contatto continuo con lo sponsor (un tossico pulito da almeno 5 anni) riesce a farli tornare a una vita normale, in cui si riesca a far fronte alle proprie responsabilità.
Queste sono alcune storie, raccolte alle riunioni degli ultimi mesi, nello stile delle condivisioni dei NA.
Sono Carlo, tossico di 32 anni, pulito da 2 mesi. Ero magazziniere. La cocaina l’ho provata per scherzo, in discoteca, il sabato. Poi ho iniziato a tirarne un po’ anche la mattina dopo il caffé, prima di uscire. Poi una tiratina al lavoro, dopo mangiato. Poi ogni sera. E le canne e un po’ d’alcol, per modulare lo stato d’animo e riuscire a dormire. A un certo punto spendevo più di quanto guadagnavo, lavoravo malissimo rischiando di farmi male, e avevo un unico pensiero: procurarmi la sostanza. Rubavo sempre: a casa dai miei, in ufficio, persino le mance al bar. Mi hanno denunciato, ho perso il lavoro, ho perso tutto. Non vedo mia figlia da due anni. Ora ho ripreso a lavorare ma non mi sento ancora pronto a incontrarla. Ieri ho fatto un giro in moto e mi sono goduto ogni centimetro percorso. Mi sentivo rinato. L’ho comprata non comprando la droga, pensavo guidandola.
Sono Antonio, sono un tossico e alcolista. Ho 46 anni, sono pulito da 4. Sono tappezziere. Ho iniziato per curiosità, con la cocaina. Pensavo di poterla controllare, ma in breve è diventata un’ossessione. Mi sono venduto di tutto, per comprarla. Poi ero frenetico, non dormivo più e ho iniziato con la ketamina, in vena. Un anestetico per cavalli. Ho rischiato di morire, ma appena uscito dall’ospedale ho ripreso a pippare. Per calmarmi bevevo, poi dovevo eccitarmi, poi di nuovo calmarmi. Mio padre ha dovuto vendere il suo appartamento per ripianare tutti i debiti che ho fatto. Sono un sopravvissuto. È un miracolo che io sia vivo, è un miracolo che non abbia ammazzato nessuno guidando strafatto. Se sono vivo è solo perché Dio ritiene che io abbia una missione da svolgere. Non mi alzo più con un “porca puttana vita di merda dov’è la roba,” come ho fatto per anni.
Sono Sonia, tossica, e oggi sono pulita. Ho 27 anni e tutta la mia giornata è scandita dalla ricerca della sostanza e dei soldi per comprarla. Mia figlia è stata affidata a mia madre. Ogni volta che posso vederla mi sforzo di restare pulita, ma l’ansia di non farcela mi distrugge e così finisco per prostituirmi, per fare i soldi che mi servono a comprare la sostanza. Ogni tanto cerco un posto da cameriera, non so fare altro, ma è un lavoro che fa schifo e mi fa solo venire voglia di farmi. Non so come uscirne. Sono piena di rabbia.
Sono Gianna, tossica e alcolizzata, questo è il mio complemese. Ieri mi sono goduta la domenica andando a spasso e tornando a casa mezzogiorno per leggere il giornale e fare cose normali: cucinare, mettere in ordine, guardare la televisione. In altri tempi a mezzogiorno ero già completamente fuori. Ho cominciato con l’eroina. Poi sono riuscita a smettere. Ma un giorno, per calmarmi perché avevo bucato una gomma del motorino, ho bevuto una birretta. Da lì è iniziata una https://www.camillabaresani.com/admin/add_edit_articoli.php?cat=3&id=38discesa prima nell’alcol e poi di nuovo nell’eroina. Sono le scemenze che mettono in crisi. Divorzio, perdita del lavoro, malattie, morte sono problemi gravi ma paradossalmente più facili da affrontare delle piccole sfide quotidiane. Ora comunque sono felice. Mi sono fatta un regalo: sono rimasta pulita anche oggi, che è la cosa meno scontata della giornata.
Sono Mauro, tossico e alcolizzato, pulito da 16 anni. Mi ha salvato un amico, accorgendosi che qualcosa non andava. Sono avvocato, ma ero sempre pieno di debiti. Nonostante sia pulito da così tanti anni, mi rendo conto che quando parlo con un cliente ho ancora la paranoia di essere scoperto, l’angoscia di tirare su col naso o che mi tremino le mani o qualche altro segnale della mia dipendenza. Ho mentito a tutti per anni, cercando di mimetizzarmi. La paura di essere scoperto non mi lascerà mai. Oltre a fare debiti per comprare la sostanza, ho danneggiato il mio studio lavorando malissimo. Non ero mai puntuale, facevo finta di lavorare, il centro della mia vita era solo ritagliarmi lo spazio solitario in cui pippare.