Camilla Baresani

Sommario

Quando regnavano i cigni

- F - Storie

È tutto vero quello che si racconta in I cigni di Truman Capote. I personaggi, lo splendore, le ricchezze, i fatti. E il tema portante della serie è uno dei capisaldi della narrativa e del cinema mondiale: anche i ricchi piangono. Dalla tragedia greca passando per Shakespeare fino ad arrivare a oggi, noi sognatori ci siamo sempre consolati con le magagne e i patimenti esistenziali di chi può permettersi inarrivabili tenori di vita, supreme eleganze, indicibili bellezze. Ah, se potessi essere come Babe Paley, pensiamo guardando le immagini della serie, dove la stupenda, elegantissima Babe è interpretata da Naomi Watts. O come Lee Radziwill, nella fiction Calista Flockhart, sorella di Jacqueline Kennedy poi Onassis, più bella e più chic ma di inferiore scintillio mondano, quindi eternamente gelosa di Jackie. E non invidiamo forse CZ Guest (Chloë Sevigny), socialite di gran classe, musa di Slim Aarons che con Cecil Beaton fu il fotografo specializzato nel rappresentare al meglio il jet set, gli abiti, i balli in maschera, i cocktail a bordo piscina, le pose in salotto con il cane ai piedi? Rampolle di alte borghesie bostoniane, che necessitavano però di capitali ben più ingenti di quelli paterni per alimentare le proprie eleganze firmate da Balenciaga, Valentino, Dior, Givenchy, Oscar de la Renta e dunque sposarono uomini di supreme ricchezze, che potevano mantenere il loro status fatto di vestiti, gioielli, voli privati, magioni a Long Island con scuderie, a Palm Beach, nelle isole caraibiche, e insomma tutto quello che si poteva desiderare, corredato da plotoni di dietologi, medici estetici, arredatori, giardinieri. E non vorremmo forse l’allure di Slim Keith (Diane Lane nella serie), californiana racé plurisposata? Donne all’indefessa ricerca della perfezione per i loro dinner, le feste, gli arredi, le magrezze, la gestualità e ovviamente il guardaroba, concentrate nella creazione di invenzioni che le rendessero iconiche, come Babe Paley con il foulard annodato al manico della borsetta, presto imitato ovunque. Non si creda che si trattasse di femmine neghittose in quanto ricche. L’aggiornamento continuo sulle persone da frequentare, da invitare, da cui essere invitati, i look per farsi segnalare, la gara a esser nominata donna più elegante dell’anno: un lavorio indefesso sulla propria immagine, e non per i soldi, come una top model o un’influencer, ma con i soldi. I soldi dei mariti, va da sé. Capita dunque che questo manipolo di donne leggendarie frequentasse assiduamente Truman Capote, scrittore di genio e di fama internazionale. Lui le definiva “i cigni di Park Avenue” (i lunghi colli contornati di gioielli). I suoi romanzi, Colazione da Tiffany, interpretato nella versione cinematografica da Audrey Hepburn e A sangue freddo, lo avevano reso celebre e anche ricco, sempre invitato nei talk televisivi dove si distingueva per le sue irriverenti notazioni. Per giunta, quel piccoletto dalla vocina sgradevole, tipo graffio sul vetro, era simpatico. Arguto, pettegolo, un grande intrattenitore dei suoi cigni, bisognosi di sfogo e compagnia. Babe, Lee, Slim, CZ, le due Gloria (Guinness e Vanderbilt) e poche altre ancora, tra cui mettiamo anche Marella Agnelli (che però nella serie non compare) si incontravano alle stesse cene, negli stessi ristoranti di Manhattan, alle stesse feste, nelle solite località di vacanze, ma erano pur sempre rivali l’una dell’altra, ed ecco allora il provvidenziale Truman: non si è sempre detto che i gay sono i migliori amici delle donne? È a questo punto che la storia, per noi appassionati del male di vivere ai piani alti della società, prende il volo. Perché quei mariti dal portafoglio inesauribile volevano mogli di rappresentanza, ma per il resto erano assenti e gran cornificatori. E così depressioni, troppe sigarette, troppo vino, troppe frustrazioni, e a chi confidarle? A Truman, tanto divertente, tanto mondano, tanto informato, così innocuo. Così innocuo. Usciamo per un momento dal glamour delle immagini che scorrono sullo schermo e spostiamoci sulle pagine di un celebre mensile. È il novembre 1975, ed “Esquire” pubblica un racconto di Truman Capote, come anticipazione del suo romanzo non ancora terminato, Preghiere esaudite. Da anni, preda dell’alcol e degli antidepressivi, Capote non riusciva a terminare questo romanzo-verità sulla fauna del jet set, nelle sue grandezze ma anche nei lati meno commendevoli. Il titolo del racconto, che è poi un capitolo del libro, è La Côte Basque, nome di un ristorante frequentato dall’alta società newyorchese. C’è uno pseudo Truman che incontra davanti al locale una pseudo Slim Keith. La duchessa Wallis Windsor le ha dato buca, così invita il pettegolo amico a tenerle compagnia al tavolo prenotato. Complice una bottiglia di Cristal e un soufflé Fürstenberg che non arriva mai, con il tasso alcolico che a stomaco vuoto lievita, i due si scambiano confidenze. E sparlano di Ann Woodward (nel racconto anche lei ha uno pseudonimo, mentre nella serie è interpretata da Demi Moore), seduta a un altro tavolo con un sacerdote. Le danno dell’assassina, cosa forse vera. Ma protetta dalla sua ricchezza era riuscita a far credere di aver sparato al marito per errore, pensando che fosse un ladro intrufolato in casa. Fin qui il racconto pubblicato da “Esquire”. Ne consegue la scomunica sociale di Truman Capote. I cigni si ribellano e lo mettono all’indice. Il racconto, dove sono tutte più che riconoscibili, è un tradimento ben peggiore di quelli perpetrati dai mariti. La Woodward, che a differenza degli altri cigni è di origini umilissime e prima di sposare il suo magnate era una ballerina di fila nei night, si era da pochi giorni suicidata con il Seconal (proprio come la madre di Capote). L’omicidio del marito risaliva a vent’anni prima. Da allora, Anne aveva resistito al processo, alle malelingue, all’alcol e alle sigarette ma non alle voci sul contenuto di La Côte Basque. Poi, anche i due figli si suicideranno. “Ma cosa si aspettavano?”, scriverà Capote, “Sono uno scrittore, utilizzo tutto. Davvero pensavano che io fossi lì solo per divertirli?”.

Alcune di queste bellezze moriranno di cancro, per le troppe sigarette. Lui di alcol. Restano le parole scritte da Marella Agnelli: «Negli anni Sessanta consideravo Truman uno dei miei più cari amici: eravamo, come si suol dire, amici per la pelle. Lui aveva un dono speciale: era una persona affettuosa e dotata di grande senso dell’umorismo. Quando lo conobbi avevo già letto due dei suoi romanzi e lo reputavo un giovane genio, ma non era quello l’aspetto più importante. Ciò su cui si basava la nostra amicizia, almeno per me, era un’affinità elettiva. Mi trovai a raccontargli cose che non mi sarei mai sognata di dire a chicchessia. Lui sapeva come entrare nei pensieri e nell’intimità delle persone. Stava lì in agguato, come un falco”. E prosegue: “La vera e propria rottura avvenne prima che “Esquire” pubblicasse, nel 1975, un capitolo di Preghiere esaudite, un romanzo a chiave in cui Truman rivelava i dettagli della vita privata di molte persone che, come me, lo avevano eletto ad amico e confidente. (…) Truman aveva davvero superato ogni limite e così, da un giorno all’altro, fu spietatamente ripudiato dalle persone che lo avevano tenuto in palmo di mano. Io lo avevo anche avvertito quando, durante una crociera nel Mediterraneo, mi aveva dato da leggere qualche capitolo del suo libro – leggo l’inglese molto lentamente – per avere la mia opinione. Mi sembrava tutto così superficiale che tentai di metterlo in guardia. “Truman”, gli dissi “cosa hai scritto? Sembra uscito da un giornale scandalistico, in che guaio ti stai infilando?””.