Camilla Baresani

Sommario

Quarant’anni di arte contemporanea – Massimo Minini 1973 – 2013, Triennale di Milano

- Corriere della Sera - Storie

L’aspetto ieratico ricorda l’espressione ferma, fissa e frontale delle icone bizantine. Ma in lui c’è anche qualcosa di quelle figure severe di preti luterani dei film di Bergman. Nell’insieme, Massimo Minini incute un senso di spaesamento emotivo, perché non si capisce mai se gli si è antipatici oppure il contrario, tanto è misurato il suo modo di fare. Quando parla, e non è certo uomo di molte parole, le sue frasi sono affilate, scabre, significative. Sembrerebbero, a differenza di quello che capita con la gran parte di noi, già pronte per essere trasferite sulla pagina: niente fronzoli, né cautele lessicali o perifrasi nonsense. Eppure quest’uomo ha scaldato il cuore di una quantità di artisti già celebri o che lo sarebbero diventati, e ha trovato le parole giuste – in italiano, in inglese, in francese – per far capire loro che avrebbe saputo interpretarli, spronarli, assecondarli, promuoverli nel migliore dei modi. Molti galleristi sono parlatori infaticabili, oppure frequentando gli artisti si contaminano e diventano eccentrici nel tratto, nell’abbigliamento, nelle pose. Finisce che l’artista si sente spodestato. Con Massimo Minini non c’è rischio che capiti. Per noi bresciani è motivo d’orgoglio: obiettivamente non capita mai che uno di provincia, rimasto nel luogo dove ha iniziato ad avere successo anziché espatriare a New York o come minimo a Milano, ottenga un simile prestigio internazionale. Soprattutto in un ambito che non è di produzione ma di intuizione culturale, di previsione e prefigurazione e che dunque ha molto a che vedere con la capacità di fiutare il tempo, i cambiamenti, le avanguardie. Difficile farlo da Brescia, viene senz’altro più comodo nei luoghi dove c’è densità e concentrazione di intelligenze artistiche e di speranze legate alla rottura del canone corrente.
Lunedì sera, nella calca dei 3.000 accorsi alla Triennale per star vicino a lui e al suo sigaro spento, cercavo di leggere i cartellini posti accanto alle opere. Scritti nel tipico stile dei suoi pizzini, non si limitano a dare una fredda nota informativa (di chi è l’opera, quando, dove) ma aggiungono un dettaglio umano, un particolare guizzante che illumina chi li legge, o che contribuisce a far interpretare un lavoro che altrimenti ci resterebbe oscuro; con una capacità di sintesi che è il contrario delle schede tipiche delle grandi mostre, sfibranti ed esaustive, scritte in “curatorese” e che fanno passare la voglia di soffermarcisi.
Dovrò tornarci alla Triennale, per gustarmi con calma le quasi 200 opere, i cartellini, il percorso intellettuale di un uomo che ha un mestiere di pazienza e coltivazione, analogo a quello del collezionista e lontanissimo da quello del commerciante al dettaglio, uno il cui talento di scoperta vale quanto il talento di un artista.
Comprate il bellissimo catalogo “Massimo Minini – Quarant’anni 1973 – 2013”, non ve ne pentirete. In mezzo a tanti libri inutili, questo contiene la preziosa riproduzione di lettere e cartoline scritte e ricevute da Minini. Meravigliose calligrafie d’artista, come quella di Nicola de Maria e quella di Richard Tuttle. Fantastiche anche certe lettere, come una di Minini a Daniel Buren, che include un’affettuosa frecciatina a Maurizio Cattelan. Peccato che negli ultimi anni siano subentrate le mail, privandoci dei dettagli di calligrafia o dei caratteri sbavati delle macchine da scrivere. Imperdibili le notazioni di Minini, che in una prossima vita potrebbe comodamente fare lo scrittore. Dell’artista Letizia Cariello nota: “Letizia mi scrive due email al giorno, Io le rispondo una volta alla settimana, riassumendo tutti gli argomenti…”, e noi capiamo tutto, l’ansia dell’artista, la sua solitudine, il polso e la sollecitudine del gallerista/amico. In fondo al catalogo, Minini aggiunge alcune fotografie, che ha scattato seguendo gli insegnamenti dei suoi artisti. Marina Abramovic, ritratta mentre beve a canna da una bottiglietta di plastica, come le americane a spasso, ha una didascalia: “Idrata la pelle”. Fotografata nuda sarebbe stata meno nuda. Sempre sull’onda di questo suo spiritello ironico, smitizzante, ci presenta uno scatto che lo ritrae con Daniel Buren su una panchina dei Giardini, a Venezia. Uno guarda a destra, l’altro a sinistra. Entrambi sono al telefono. La didascalia dice: “Alla Biennale di Venezia pensano ad altro”.

(AGI) – Milano, 18 nov. 2013- Viene inaugurata stasera alle 19, alla Triennale, la mostra “Quarant’anni d’artecontemporanea. Massimo Minini 1973-2013”. L’evento, organizzato per festeggiare i quarant’anni di attivita’ della Galleria Minini, presenta le opere provenienti dalla collezione privata del gallerista bresciano e dalla sua galleria. Tra le opere esposte, anche lettere, telegrammi e cartoline ricevuti da Minini, oltre alle fotografie e agli inviti delle tante mostre inventate dal 1973 ad oggi. Nella mostra, che rimarra’ aperta fino 2 febbraio 2014, viene proposto uno spaccato di storia dell’arte contemporanea, raccontata dal punto di vista del gallerista