Casa Serafini, caleidoscopica, giocosa, mirabolante è lo studio d’artista più vicino alle meraviglie di Casa Balla. L’abitazione del poliedrico futurista Giacomo Balla, grazie al MAXXI e alla Soprintendenza speciale di Roma, è stata restaurata e resa visitabile. Sulla casa-studio-opera d’arte di Luigi Serafini, pende invece uno sfratto che potrebbe portare alla distruzione di un appartamento inimitabile. L’artista a tutt’oggi lavora nel palazzo di Salita de’ Crescenzi, a due passi dal Pantheon. Sarebbe un crimine distruggere quello che per ora è stato accessibile solo ad amici, collezionisti, artisti e scrittori come Fellini e Sciascia che negli anni hanno visitato l’appartamento arrampicandosi per gli alti gradini dei tre piani e mezzo del palazzo. Aperta la porta d’ingresso, si viene risucchiati da un mondo sospeso e ricreato dalla fantasia, fatto di oggetti che trascendono chi vi abita. I mobili sono sculture e alcune sculture celano la loro utilizzabilità di mobili, nulla è quel che sembra, oppure lo è e ti stupisce. Serafini ha disarticolato la consueta divisione di oggetti decorativi e oggetti funzionali che vige nelle case, trasformando gli oggetti di uso comune, persino le porte, gli stipiti, le librerie, le mensole, i cassetti in giocattoli di quel suo mondo fantasmagorico che dal 1981 non finisce di stupirci. Il 1981 è l’anno in cui l’architetto, designer, artista vide pubblicato il suo incredibile Codex Seraphinianus, giunto ormai all’ottava edizione, dapprima per i tipi di Franco Maria Ricci e diversi anni dopo ripreso da Rizzoli e Rizzoli New York. Un successo immediato e riverberante, non tradotto in tutto il mondo, ma pubblicato fino in Cina (dove ne hanno pure fatto un’edizione piratata e tarocca, la tipica imitazione low cost cinese), e analizzato e commentato in 31 lingue diverse. Un caso unico, nel mondo dell’arte e dell’editoria. Il Codex non è tradotto perché le oltre mille illustrazioni di questa enciclopedia che cataloga un mondo tecnico, botanico, architettonico, faunistico, antropologico, urbanistico completamente inventato, fatto di metamorfosi, sono corredate dalle tipiche descrizioni di un’enciclopedia, però scritte in linguaggio serafiniano, fatto di caratteri inintelligibili. Questi caratteri sono simili a quelli del georgiano, ma anche a quelli del telugu, la lingua dravidica parlata nella zona di Madras. Nel web “c’è tutto un mondo” che parla del Codex. Da chi ne apprezza la giocosità e la prende per quel che è, ai soliti complottisti che cercano di decrittarlo immaginando che nasconda messaggi apocalittici. Un matematico bulgaro è riuscito a scoprire che la successione delle pagine nasconde una serie numerica, il che ha poi dato il via a illazioni infinite sull’esistenza di un codice occulto, mentre per Serafini era solo un giocoso omaggio a Fibonacci.
Serafini è tra l’altro un benemerito di Terrazzo: nel 1988, sul primo numero del Terrazzo di Ettore Sottsass, firmò un articolo sulla basilica veneziana di Santa Maria della Salute (“un delirio”, lo definisce). Proprio con Sottsass e con il collettivo Memphis ha iniziato la sua carriera di designer, poi evoluta nella creazione di oggetti d’arte, dalle ceramiche ai vetri ai dipinti, fino a installazioni prodotte per tante mostre personali, come quella al PAC di Milano nel 2007, o per la stazione Materdei della Metropolitana di Napoli, o ancora per la Biennale del 2011.
L’atelier-opera d’arte che ora rischia di venire demolito nella ristrutturazione dello stabile (e speriamo che il progetto non preveda l’ennesimo edificio destinato al turismo) appartiene all’Ordine dei Cavalieri di Malta. Serafini ci abita dal 1987. Quando lo prese in affitto era in corso un contenzioso legale tra i parenti dell’ex proprietario e i Cavalieri di Malta, eredi per via testamentaria. Nel corso degli anni, una trasformazione e un arricchimento dopo l’altro, l’appartamento è stato fotografato per infinite riviste internazionali d’arte e design, ed è stato filmato dalla Rai e dalla franco-tedesca Arte. Ha ospitato fan di Serafini, come Tim Burton e come i premi Nobel Wole Soyinka (nel suo romanzo Cronache dalla terra dei più felici al mondo, il Codex Seraphiniuanus è un elemento della trama) e Orhan Pamuk, che proprio in questi giorni vi è stato a cena, passando la sera a fotografare l’appartamento. Del resto, Pamuk è un appassionato di case artistiche, al punto da averne creata una a Istanbul, il Museo dell’Innocenza.
L’ingresso dell’appartamento di Serafini è immediatamente immersivo, come usa dire adesso. Il rosso pompeiano dei muri, le sculture dell’antenata della Donna Carota, ispirata alle opere di Policleto, il grande tondo mobile con una scritta luminosa che segna l’ora oceanica, una sorta di astrolabio con planisfero circolare, ispirato al film Agente Lemmy Caution: missione Alphaville di Jean-Luc Godard, una delle passioni serafiniane. L’ora oceanica del film, precursore di 2001: Odissea nello spazio, è unità di misura temporale.
Inoltrandosi nell’appartamento, cambiano i colori, e salta fuori tutto quel mondo botanico e faunistico che da sempre ricorre nelle creazioni di Serafini. Porte come coleotteri scintillanti, cervi luminosi che spuntano dalle pareti, sirene, omini cerchiati, pulcinella, scheletri come mensole, enormi mani dai colori acrilici che contengono minuscoli insetti, scudieri medievali, teste di lupo e leoni, gigantesche foglie in resina, righe, pallini, quadrati, sfere… un viaggio dentro stanze e oggetti che trasformano gli incubi in giochi bizzarri dell’immaginazione.
Prima che lo sfratto diventi esecutivo, si sta cercando di salvare questo sancta sanctorum della fantasia per renderlo visitabile, come appunto già avviene per Casa Balla, e sono state avviate le opportune procedure da parte delle istituzioni culturali competenti per proteggere la casa-opera d’arte di Luigi Serafini, un unicum assoluto nel panorama artistico italiano.