Camilla Baresani

Sommario

SAN FRANCISCO, generazione startup

- Io Donna - Corriere della Sera - Storie

Così vicino, così lontano. A San Francisco e nella Silicon Valley ci si sente subito a casa, ma la realtà è che si tratta di un mondo in cui, appena celato dietro i sorrisi e l’immediatezza dei modi, c’è un unico obiettivo: “Make money”. Fare soldi, non però alla maniera ritenuta arcaica dell’industria o dell’impresa; piuttosto, diventare milionari inventando qualcosa di utile e sinora impensato, creando nuovi bisogni planetari come è stato con i social, e prima possibile vendere a caro prezzo l’idea e la tecnica di realizzazione per poi ricominciare: inventare qualcosa di nuovo e venderlo, inventare qualcosa di nuovo e venderlo, inventare qualcosa di nuovo e venderlo.

Per raggiungere questi obiettivi, comuni a migliaia di ragazzi provenienti da tutto il mondo e perlopiù laureati in ingegneria o informatica, c’è un unico modo di vivere: si chiama coworking, coliving, cohousing. Co-lavorare, con-dividere, co-abitare. Sono le nuove vite e le nuove forme della sharing economy, cioè dell’economia basata sulla condivisione, tipica di San Francisco, città simbolo della seconda grande rivoluzione economica dopo quella industriale: l’avvento del digitale. A dire il vero, molti abitanti di San Francisco vivono questo avvento come un’invasione. “Credono di curare tutto con una app,” borbottano i rappresentanti della vecchia guardia, perlopiù appartenenti a una sinistra liberal e un po’ hippy, che ha combattuto per i diritti civili, è contraria agli shopping center e alle catene, frequenta solo librerie indipendenti ed è appassionata di medicina alternativa e pratiche di meditazione. Per questi sanfranciscani nativi, l’invasione degli hi-techer, che ha fatto rialzare del 60 per cento i valori immobiliari, triplicare i prezzi delle lezioni di yoga, dei parcheggi, del barbiere, delle verdure organiche dei farmers market di quartiere, è una iattura. Ma come, si dicono, abbiamo combattuto per un mondo più giusto, per le ciclabili, contro lo spreco dell’acqua, per i senzatetto e ora ci tocca trasferirci nella Bay Area, perché la calata degli ultranerd ha reso la città troppo costosa per noi, che siamo qui da sempre?

Sta di fatto che ormai la proprietà a San Francisco è scoraggiata, e se in Italia ci lamentiamo dei bamboccioni che vivono con i genitori sino a trent’anni e oltre, qui gli alti costi degli affitti, dei parcheggi, dei ristoranti, degli uffici fanno sì che il giorno in cui si va a vivere da soli non arrivi mai. Gli hi-techer condividono stanze, bagni, scrivanie, auto, biciclette; viaggiano leggeri perché spostandosi in continuazione alla ricerca di soluzioni più convenienti e magari più innovative hanno bagagli fatti di un computer portatile, qualche caricatore e pochi vestiti essenziali, il massimo consentito a chi vive in pochi metri quadri con la valigia utilizzata come armadio, poggiata ai piedi del letto. La loro è un’estensione nell’età adulta della vita che si fa nei collegi universitari. Ma anziché passarsi l’un l’altro gli appunti sono acerrimi rivali, perché combattono singolarmente la propria battaglia per un’idea redditizia, stando attenti che non venga copiata da altri più lesti; nel contempo vivono insieme e partecipano a un ecosistema che favorisce lo sviluppo e la realizzazione delle idee. Il tuo vicino di letto, o quello con cui lavori condividendo la stessa scrivania e cercando di non farlo spiare sul tuo schermo, quello con cui ti trovi a chiacchierare aspettando che lavatrice e asciugatrice ti restituiscano i vestiti, quello con cui balli alla festa a tema organizzata dal coliving e con cui parli in un inglese tecnico e basilare perché lui arriva dal Nepal e tu dall’Italia, tutte queste persone hanno il tuo medesimo obiettivo: usare la fantasia per creare bisogni con realizzazione digitale. Gli scambi individuali continui, inevitabili, rendono altissimo il livello collettivo di concentrazione sull’obiettivo.

Le foto di Laura Morton  non inventano né amplificano un modo di vivere, ma rappresentano fedelmente le giornate di buona parte della popolazione giovane di San Francisco e della Silicon Valley: persone approdate da ogni luogo del mondo con visti temporanei, che cercano disperatamente di diventare “unicorni”, cioè di entrare nel circolo ristrettissimo degli inventori e sviluppatori delle app più famose.

Nei coliving, che funzionano come le residenze universitarie, si affittano camerette che costano circa 1500 dollari al mese, un po’ meno se si condivide la stanza con altri. La cucina è comune, si organizzano corsi di yoga e di zumba, ci sono feste a tema, si possono invitare ospiti. Nei coworking, luoghi dove si noleggia un posto alla scrivania a circa 500 dollari al mese, si passano interminabili giornate lavorative, anche di sedici ore davanti allo schermo, a caccia dell’idea, del denaro per svilupparla, dell’algoritmo. Il posto alla scrivania non è fisso: chi arriva prima sceglie. Ci sono la connessione internet e il bar, i divani dove buttarsi a dormire o lavorare da sdraiati quando si è stanchi di stare al tavolo e le salette riservate da affittare per riunioni o per incontri con esterni. C’è persino l’angolo del barbiere e l’immancabile palestra. A ogni piano si trovano angoli cucina dove scaldare pasti comprati dal vietnamita sotto l’ufficio, oppure recapitati dal messicano dietro l’angolo, o portati dal luogo di coliving. E’ una vita dura, spartana, competitiva, ma anche molto divertente, che ti fa rimpiangere di non avere vent’anni (e una laurea in ingegneria), per buttarti nella mischia e provarci anche tu.