Camilla Baresani

Sommario

Un giorno a Firenze. Il quartiere Novoli

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“Che bello, adesso stai a Firenze? Ma dove?”.

Quando incontro qualcuno e riferisco che, dopo Brescia, Milano e Roma, cioè i luoghi tra cui mi distribuisco da decenni, ora sto abitando anche a Firenze, arriva la domanda inevitabile: “Dove?”. Firenze, se non altro per via di gite o romanzi o film, tutti la conoscono almeno un po’. Di Milano nessuno mi chiede dove abito – è citta più nota per ruolo economico che per bellezza. Al limite scherzano: “Stai al Bosco verticale con i Ferragnez?”. “Guarda che si sono trasferiti in uno Zaha Hadid”, replico, sottintendendo i vani curvacei dei new building di zona Fiera, ora ribattezzata City Life. Roma è sterminata e di solito non ti chiedono dove abiti bensì come sopravvivi tra cassonetti schiantati, natura inselvaggita e mezzi pubblici che s’incendiano lungo il tragitto. Di Firenze, invece, si vuol proprio sapere il dove. Ecco dunque il richiedente che aspetta una risposta, pronto a ribattere: ci sono stato, che bello, che ricordi, che medievalità, che case, che giardini. 

“Novoli”, rispondo, dopo una sospensione che lascia accese le speranze. E subito percepisco la delusione. Questo specifico quartiere o non l’hanno mai sentito nominare oppure lo conoscono, e non concede appigli. Novoli non è San Frediano, non è Porta Romana e nemmeno i lungarni, non è Sant’Ambrogio o Poggio Imperiale o Pian dei Giullari. Non è Fiesole né Settignano. 

“Novoli?”, m’interrogano delusi, soprattutto i toscani. “E che ci fai a Novoli?”. “Guarda”, obietto al telefono all’amico di Montalcino inurbato a Milano, che mi chiede conto di questo nuovo indirizzo, “guarda, lo noto anch’io che Novoli è insediata tra circonvallazioni e primari snodi tangentalizi, vedo bene che l’edificio più antico risale al piano INA-casa del dopoguerra, e che di fronte alle mie finestre si stagliano centri commerciali e palazzi di nuova edificazione per famiglie aspirazionali con mutuo a tasso fisso, e poi c’è il nuovo polo universitario di anonimissima architettura – forse razionale -, e per giunta davanti a me si erge l’immane mole dell’ecomostruosa cittadella giudiziaria, per non dire del parchetto rionale con smilzi fusti di recente piantumazione, costruito dove un tempo c’era lo stabilimento Fiat…”, e subito però mi sento in dovere di precisare: “Lo so, so tutto, ma a Novoli si sta benissimo. Novoli è la Firenze più nascosta e funzionale”, spiego, “Novoli non è kitsch turistico e al contempo non ha l’allure tarocca di un Pigneto, quartieraccio romano assurto a emblema di gentrificazione intellettuale e poi risprofondato nello spaccio e nella marginalità per via del fallimento di quello slancio culturale. A Novoli”, insisto, “tutto questo ardore di colonizzazione tra bobo e shabby chic è ancora molto là da venire, se mai vi arriverà”. E aggiungo: “A Novoli passa la tranvia, in poche fermate vado e vengo dalla stazione e dall’aeroporto, sono in una situazione mediana perfetta. A Novoli, esco di casa a mezzogiorno, come ho fatto proprio ora, dopo aver letto e scritto dalle sei del mattino, esco per prendere aria e fare la spesa e mi trovo in un ambiente stimolante e persino esotico – va da sé, narrativamente parlando”. E continuo la spiegazione, ormai sul marciapiede con le buste della spazzatura in mano, diretta agli scintillanti cassonetti comunali: “Pensa che a Novoli invece dei negozi – il fruttivendolo, il panettiere, eccetera – ho davanti all’uscio una Coop e un’Esselunga, ossia la festa del bio a prezzo contenuto, e volendo ci son pure due Lidl e un Tigotà per i detersivi”. Non basta, ormai sono infervorata e, mentre proseguo verso i cassonetti della differenziata accessibili solo con chiave elettronica circoscrizionale, continuo a spiegare al telefono, all’amico esterrefatto, gli immani vantaggi di Novoli. “Pensa che se mai volessi decidermi a far ginnastica, di fronte a casa ho persino le insegne vibranti di una palestra Virgin con relativa appendice di un gigantesco Decathlon, e posso immergermi senza fatica nei consumi tecnoculturali di massa perché c’è addirittura una multisala, per non dire della sede fiorentina di Scientology e della libreria Giunti con i suoi manuali esperienziali, e non mancano un Mediaworld e un Expert. C’è un Kasanova, un H&M e persino un parrucchiere Jean Louis David. Dammi una catena o un franchising e a Novoli c’è. Posso insomma usufruire liberamente di quei luoghi, o nonluoghi della surmodernità – fa lo stesso -, che di solito mi sono preclusi, sono per me irraggiungibili dato che a Milano e a Roma abito in zone semicentrali e non ho la macchina, necessaria per raggiungere snodi e rondò periferici attorno a cui sono cresciute le cittadelle dello shopping ”. 

“A Novoli”, spiego tutta galvanizzata, “ho l’intero pomeriggio per godere di questa vita commercialmente evoluta e proprio ora, mentre passeggio nel parco, dopo aver deposto la spazzatura sfuggendo all’orribile sagoma assiro-fumettistica del Palagiustizia, un assurdo edilizio che fa venire in mente bizzarrie come lo Slovak Radio Building di Bratislava, risposta slovacca alla Tour Eiffel, proprio ora, mentre sono al telefono con te, sto al contempo riflettendo sull’evoluzione urbana nei secoli, da Marsilio Ficino a Matteo Renzi, passando per Piero Calamandrei. A Novoli ti passa la voglia di contenziosi giudiziari, al solo vedere questo castelloide di un postmodernismo cementizio ostile a ogni sogno di armonia, con i sotterranei destinati agli archivi e che invece si dice siano afflitti da melmosità invasiva della falda paludosa, e sono dunque inutilizzabili come tra poco lo sarà il palazzo intero, che tra l’altro ha costi di manutenzione proibitivi. È nuovo ma già mezzo sfasciato”. 

Chissà se questi smilzi arbusti e pianticelle ancora in crescita tra quattro o cinque generazioni si saranno sviluppati al punto da oscurarlo, mi chiedo attraversando lo stradone, e cammino per almeno nove mila passi perché altrimenti l’invecchiamento mi salta addosso, data la mia renitenza alla ginnastica – questo nonostante la Virgin e il Decathlon a portata di mano. Un giorno esploro gli argini del Mugnone, che attraversa Novoli, e un giorno prendo via Baracca e a un certo punto di questa camminata in direzione dell’aeroporto comincio a rendermi conto che sono l’unica donna di origine italiana non ubriaca o tossica, anzi di donne non ce n’è quasi, sono tutti maschi, asiatici o nordafricani e soprattutto dell’est europeo, i volti gonfi e rossi, le andature barcollanti, e passo sotto un ponte ed effettivamente l’atmosfera si fa poco raccomandabile, li guardo tutti buttati giù in un giardinetto a ridosso della massicciata, badando a non inciampare in bottiglie di birra vuote non deposte nelle campane del vetro, e immagino che siano in attesa di rialzarsi e mettersi in coda per la distribuzione dei pasti, perché qui – lo dico con orgoglio al mio interlocutore -, qui dove Novoli diventa Peretola, c’è una fondamentale mensa della Caritas che distribuisce millecinquecento pasti al giorno. 

Niente, meglio tornare indietro. E allora via, sempre camminando supero le palazzine già sbrecciate degli anni Sessanta e Settanta, e proseguo verso il Nuovo Pignone, verso le case popolari del dopoguerra. “A Novoli, tra Novoli e Rifredi”, dico al mio amico, “si vedono questi parallelepipedi a tre piani armonicamente disposti, come gli edifici del Monopoli, tutti intorno a giardinetti ben tenuti, e non c’è nessuna estetica del degrado, anzi, ci vado per provare risonanze artistico letterarie, tra Vasco Pratolini e Ottone Rosai”.

“Senti, si è fatto tardi, siamo da ore al telefono”, mi dice l’amico ormai radicalmente edotto su Novoli, “vediamoci presto, magari quando torni a Roma o Milano, va bene?”.