Pittura e cinema: a queste due rappresentazioni è solitamente legata l’immagine di luoghi che sogniamo di visitare o abitare, introiettata e fissata nei nostri occhi. Se pensiamo all’Italia, una delle più classiche, inconfondibili illustrazioni è quella di un paesaggio toscano fatto di dolci colline con castagneti, oliveti, vigneti e qua e là, sulla cima dei declivi, borghi medievali, torri e casali isolati. Quest’immagine, in una pace paradisiaca non solo rurale ma anche sociale, è al centro di alcuni tra i più famosi dipinti della storia dell’arte italiana: tra il XIII e il XV secolo, i pittori della scuola senese per esaltare i valori della città-stato si esercitarono su ciò che stava sotto ai loro occhi, ossia la Val d’Orcia. Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo, fondamentale affresco di Ambrogio Lorenzetti conservato nella Sala del Consiglio dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena, ritrae nell’invenzione della prospettiva proprio la Val d’Orcia. Così come il Guernica di Picasso, questo dipinto trecentesco trascende il proprio indubitabile valore artistico per rappresentarne uno di impegno civile e di testimonianza storica. È la prima opera d’arte italiana che abbandona i temi dell’iconografia religiosa per rivestire un contenuto politico e filosofico, sulla base del pensiero di Tommaso d’Acquino.
Nel corso del Novecento e fino ai nostri giorni, il paesaggio fuori dal tempo della Val d’Orcia è poi divenuto soggetto cinematografico: vi sono stati girati L’armata Brancaleone di Mario Monicelli, Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli, Il paziente inglese di Anthony Minghella, Il gladiatore di Ridley Scott, Io ballo da sola di Bernardo Bertolucci, Nostalghia di Andrej Tarkovskij. E poi la pubblicità: non c’è marchio d’auto che non vi abbia ambientato il suo bravo spot lungo le scenografiche strade a zig zag bordeggiate di cipressi. Oggigiorno, infine, la Val d’Orcia è diventato un fortunato scenario instagrammabile, con tutte quelle strade bianche che si avvitano tra Pienza, Bagno Vignoni e cappelle isolate, nello scenario dell’Eroica, straordinaria competizione ciclistica su bici d’epoca.
Dal 2004, questa vallata tra le province di Siena e Grosseto, attraversata dalla Via Francigena e nota anche per la produzione di uno dei più pregiati vini italiani, il Brunello di Montalcino, è stata riconosciuta dall’Unesco come “Patrimonio dell’Umanità”. Una prima riscoperta novecentesca della Val d’Orcia, dopo alcuni secoli di marginalità e abbandono, fu dovuta a una ricca e colta american-anglo-irlandese, Iris Cutting, nata nel 1902. A fine Ottocento, sua madre, divenuta vedova, aveva comprato la splendida Villa Medici di Fiesole. Attorno alla Villa si creò un cenacolo, una Bloombury in trasferta. Il grande storico dell’arte Bernard Berenson, vicino di casa, la giovane Iris e i nuovi mariti della madre (uno storico dell’arte e, a seguire, un saggista) si dedicarono alla valorizzazione di interi settori di storia dell’arte non ancora studiati, finendo per “inventare” il turismo anglosassone in Toscana. Da lì, da quegli studi e conversazioni, la brillante Iris, che aveva sposato il marchese Origo, partì per la ri-creazione della Val d’Orcia. La coppia comprò infatti un’immensa tenuta, La Foce, in quella zona che era suggestiva ma sottosviluppata: troppo fredda d’inverno e troppo calda d’estate, con le suggestive crete aride, inadatte all’agricoltura. In un misto di filantropismo di stampo americano (costruire fattorie modello, elevare il livello di vita dei contadini locali che abitavano nelle stalle con gli animali, mandare a scuola i loro figli), approfittando delle bonifiche messe in opera dal fascismo, si dedicarono con splendido sodalizio pionieristico e creativo anche alla valorizzazione estetica della Val d’Orcia, sull’onda delle rappresentazioni della pittura senese. Fu Iris Origo a far piantare i filari di cipressi del viale che conduce a La Foce, potati, disegnati e stilizzati come nei dipinti, in modo che non ingombrassero lo sfondo paesaggio con chiome disordinate. Sulla scorta dell’immagine di quel viale si gioca il successo turistico e oleografico novecentesco della Val d’Orcia. In anni più vicini ai nostri, un’altra coppia molto internazionale – Ilaria Pallavicino, con studi longhiani in storia dell’arte all’università di Bologna e un’amicizia con Federico Zeri, e Giorgio Miani, appassionato di agricoltura -, ha contribuito alla fama internazionale della Val d’Orcia. Esplorandola in moto all’inizio degli anni ’80, iniziarono a comprare casali abbandonati. Per anni si sono dedicati al restauro di ruderi e muretti a secco semifranati, in modo filologico e con gusto per il paesaggismo. Questi casali sono poi divenuti meta delle vacanze di attori dello star system internazionale e di un’alta borghesia riflessiva anglo americana. Alla valorizzazione turistica hanno poi contribuito alcuni magnati americani, comprando e restaurando borghi spopolati. Tra questi, l’avvocato e filantropo Michael Cioffi, che ha acquistato casa dopo casa la rocca medievale di Castiglioncello del Trinoro. Il restauro del borgo, affidato alla coppia Miani, ha creato Monteverdi, un suggestivo “albergo diffuso” e una sorta di cittadella ideale, dove ricercare una fusione col paesaggio e con l’arte, tra gite, concerti di musica classica e jazz ed esposizioni di arte contemporanea. Di fatto, la Val d’Orcia è diventata il nuovo “Chiantishire”, meta di un turismo colto e ancora molto esclusivo.
È a Montalcino, in Val d’Orcia, che si produce il vino italiano più citato dalle classifiche internazionali, ossia il Brunello (il Barolo è secondo, terzo il Chianti). Il migliore, secondo la più influente delle classifiche, quella di Wine Spectator, è il Brunello di Montalcino Le Lucère 2015 prodotto dall’azienda San Filippo. Nella classifica 2021 è al terzo posto della top ten mondiale, primo tra gli italiani. Posto che 2015 e 2016 per il Brunello sono state annate straordinarie, Le Lucère è un fantastico vino da collezione: di un rosso rubino intenso, corposo e persistente, con tannini setosi e aromi di ribes nero, mirtilli e funghi porcini.