Camilla Baresani

Sommario

Vecchi rancori di casa Agnelli

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Sul volo Milano-Ginevra, sono seduta accanto alla fotografa Shobha Battaglia. È il 22 settembre 2004. Siamo dirette ad Allaman, tra Ginevra e Losanna, a casa di Margherita Agnelli. Non ancora cinquantenne, madre di otto figli avuti da due mariti, la secondogenita di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo vuole raccontare agli italiani la sua verità, che ancora non ha avuto spazio sui giornali. Sino a quel momento, quello che tutti avevamo letto era che Margherita non aveva accettato l’interpretazione delle disposizioni testamentarie del padre, morto nel gennaio 2003. 

“In risposta a quanto è stato detto nelle ultime settimane sui giornali e settimanali italiani, vorrei far sapere quanto segue: l’asse ereditario è stato aperto in mia assenza il 30 gennaio alle ore 10, con le parole testuali che la mia presenza era assolutamente superflua. Quando mi sono azzardata durante quel mese a fare domande affinché mi fosse chiarita la situazione, ricevevo risposte evasive. Il giorno 24 febbraio mi trovo dinnanzi a dei fatti compiuti che non corrispondevano a quello che mio padre a più riprese aveva detto”, scrive in un fax consegnatomi prima che partissi per l’intervista. “Dinnanzi al notaio, messa di fronte a una realtà del tutto diversa, chiedo di capire prima di firmare dei documenti che non mi sono chiari. A quel punto uno dei Signori citati da Milano Finanza come ‘straordinari personaggi che hanno evitato il peggio’ mi insulta dicendomi ‘Lei non è degna di suo padre, non è degna di farne la volontà’”. E prosegue: “L’altro signore fa capire che come gli insegnò mio padre con le donne non si parla”. Sempre in quegli appunti, Margherita si esprimeva in toni pieni di stima e nostalgia sia nei confronti del padre, capace di tenere unita la famiglia, sia del fratello Edoardo, suicidatosi nel 2000, di cui ricordava sensibilità e acume. 

Dopo questi fatti, Margherita aveva lottato per ottenere chiarimenti, dapprima interpellando i fratelli del padre e in seguito assumendo scaltri avvocati affinché i suoi diritti e quelli dei figli avuti dal secondo marito venissero rispettati. In pratica, riteneva che i tre (John detto Yaki, Lapo e Ginevra) avuti dal primo marito Alain Elkann, intellettuale ebreo di origine torinese-parigina, fossero stati ingiustamente favoriti rispetto ai cinque (Maria, Pietro, Anna, Sofia, Tatiana) avuti da Serge de Pahlen, conte russo decaduto, fratello di una governante di casa Agnelli (così, almeno, si dice). 

Tra il 2003 e il 2004, la stampa italiana aveva dato risalto ad altre notizie: Margherita non s’era vista alla messa in suffragio del padre, e nemmeno al funerale dello zio Umberto, e per giunta il suo nome non era presente nelle partecipazioni di nozze di John con Lavinia Borromeo, benché poi, in extremis, proprio pochi giorni prima della nostra intervista, Margherita e i figli de Pahlen avessero partecipato alla cerimonia sull’Isola Madre. Insomma, dopo tanti pettegolezzi e illazioni, la figlia dell’Avvocato aveva deciso di parlare, e stranamente la scelta era caduta su di me, che sono una scrittrice e non una giornalista professionista esperta di contese patrimoniali.

Shobha e io arriviamo dunque all’aeroporto, un autista ci preleva e, dopo mezz’ora, eccoci al cancello della villa. Ricordo il parco, con alberi sontuosi e siepi fitte, e una passeggiata nella proprietà fino al lago; ricordo gli edifici delle scuderie e il cavallo di Margherita su cui lei montò per permettere a Shobha di scattarle una foto in cui sembrava un’eroina ribelle, una lady Godiva però vestita e crinieruta; ricordo i quadri alle pareti della villa – non i Goya o i Picasso o i Bacon ereditati, come immaginavo – bensì i propri, in stile naïf (una volta sono andata a casa di un famoso scrittore di thriller: ebbene, nella grande libreria c’erano esclusivamente copie di suoi libri, anche nelle diverse traduzioni. Ho subito pensato a Margherita Agnelli). Ricordo le belle figlie Anna e Sofia, rispettose con la madre e però un po’ deluse perché al matrimonio di John e Lavinia, pochi giorni prima, non avevano indossato gli eleganti vestiti che avrebbero voluto scegliere, ma abitucci più convenienti che la madre spiegava di aver comprto in un qualche magazzino, una specie di “All’Onestà” di Losanna o Ginevra. Ricordo la casetta di legno nel parco, tipo quelle degli attrezzi (che diavolo ci fa, nel bel mezzo del parco? mi ero chiesta), e invece era la microchiesa ortodossa di famiglia, dove rifugiarsi a pregare davanti alle icone. Ricordo lo studio di Margherita, con il cavalletto e i colori e i suoi libri di poesie (pittrice e poetessa) e la foto di Edgardo Sogno e di Beppe, “l’autista”, e un cd di Toto Cotugno. Ricordo il pranzo a dir poco minimalista: sul grande tavolo una bottiglia di Villa Antinori col tappo calcato sopra, mezza finita, e lo scabro pasto appoggiato sul buffet “perché non c’è servizio” (bisognava alzarsi e servirsi, ma eravamo solo in 4, ed era abbastanza straniante, ci si sentiva osservati). Ricordo il risentimento verso due persone il cui nome non scrissi poi nell’intervista, su preghiera di Margherita Agnelli, perché ritenute potenti, temibili, aggressive. Ora posso scriverlo, perché quei nomi sono stati fatti pubblicamente: i “Signori citati da Milano Finanza” erano Gianluigi Gabetti, presidente delle finanziarie di casa Agnelli, e l’avvocato Franzo Grande Stevens, amici di famiglia, consulenti ed esecutori delle volontà testamentarie dell’Avvocato.  L’astio si estendeva all’ex marito Alain Elkann e alla madre, Donna Marella, che «mi ha sottratto mio figlio come se fosse suo». Anche queste considerazioni evitai di scriverle, benché le abbia registrate, perché speravo che una ricomposizione familiare fosse possibile. Ora che qualsiasi frase contundente è stata pronunziata pubblicamente, sembra quasi una carineria. Anni e anni di disfide legali hanno definitivamente intossicato i legami famigliari.

L’accordo sull’eredità paterna era stato infine siglato, in quel 2004. Margherita riceveva 105 milioni in cambio delle sue quote della Dicembre, la società che controlla l’impero e che ai tempi versava in grave crisi, e inoltre titoli, immobili, opere d’arte per un valore totale stimato in 1,3 miliardi di euro. Quell’accordo è stato in seguito da lei disconosciuto, e ora portato davanti a una corte svizzera. Margherita ritiene che il valore attribuito all’epoca alla Dicembre fosse molto sottovalutato rispetto alla realtà, e contesta inoltre il modo in cui le quote della madre, invece di andare a lei in successione legittima, sono state distribuite ai tre nipoti Elkann prima della morte di Donna Marella, mancata nel 2019. Di fatto, dalla morte di Gianni Agnelli in poi, abbiamo assistito a una lotta patrimoniale che ci ha mostrato il versante meno glamour della famiglia, ossia l’elusione fiscale, la grande quantità di denaro per cui non sono state pagate tasse nel nostro Paese. 

 Ma a parte gli sbalorditivi conteggi sul dare e avere, quello che inevitabilmente più ci avvince è il fattore “anche i ricchi piangono”.

Margherita mi parve stravagante, piena di insicurezze e ansie e narcisismi, come del resto capita a tante persone figlie di ricchi e belli e famosi. Per esprimere sé stessa, anziché la presenza scenica nel jet set, aveva deciso di tentare la strada della poesia e della pittura, con risultati certamente non eccelsi.

Certamente non è riuscita a farsi apprezzare da 4 dei suoi 8 figli – con Maria de Pahlen si è arrivati a una battaglia per l’affidamento dei nipotini. Il ritratto (velato) fatto da Ginevra Elkann nel suo bel film Magari, è quello di una madre anaffettiva, afflitta da ossessioni mistiche. Del resto, anche l’alter ego del padre Alain, interpretato da Riccardo Scamarcio, non sembra rimandare a grandiosi modelli educativi. Si dice che Ginevra stia ora girando un serial incentrato sulle donne Agnelli. Siamo tutti curiosi di vedere come il suo tenero e incantevole punto di vista approfondirà la figura della madre. Anni fa, avevo letto un’intervista in cui Marella Agnelli diceva che, mentre Margherita era essenzialmente una madre, lei si era sempre sentita anzitutto una moglie. Oggi, sembrano modi di raccontarsi desueti. Tutte vorremmo essere più che altro capitane d’industria, grandi artiste, scienziate. 

Parte di questa storia burrascosa fu un licenziamento. Pare che il marito di Margherita, cooptato sin dall’inizio della loro storia con ruoli dirigenziali alla Fiat, (prima in Brasile, poi in Francia e in Russia), dopo la morte di Gianni Agnelli ambisse alla presidenza della società, nel posto che sarebbe diventato di John. Ma nel 2005 John lasciò che Serge de Pahlen venisse licenziato. A quel punto fu chiaro che nessuna ricucitura tra Margherita, Marella e i figli Elkann fosse possibile.

Nella contesa famigliare si inserì anche una contesa con i legali: l’avvocato che aveva combattuto con Margherita per la definizione dell’eredità di Gianni Agnelli, Emanuele Gamna, nel 2010 accusò la sua ex cliente di essere “tutt’altro che sprovveduta, a dispetto dell’immagine accattivante di donna ingenua e sempliciotta che per anni è riuscita a vendere ai media”. Ovviamente, ora Margherita ha un nuovo avvocato. È il milanese Dario Trevisan. Salutista e molto sportivo, non soffrirà la fame al tavolo di casa de Pahlen.