Camilla Baresani

Sommario

La casa al mare degli scrittori

- Urbano - Storie

Capita che gli scrittori, in cerca di ispirazione e di una tregua dall’avvilupparsi di relazioni sociali, di obblighi burocratici e magari anche di creditori a cui sfuggire, sognino una località amena in cui rifugiarsi e dar sfogo al proprio talento, o a quello che ne rimane. A volte bramano i monti, saltuariamente laghi e fiumi, molto più spesso località di mare. La rifrazione della luce sull’acqua, come fosse una distesa di frusciante carta stagnola, lo sciabordio delle onde e quel senso d’infinito che comunicano le grandi distese d’acqua possono essere ipnotici e rimandare ad avventure, a drammi, a invenzioni narrative straordinariamente proficue. Il mare parla di traversate esplorative, di scoperte scientifiche, di esotismo, di piraterie, di viaggi della speranza con tragici naufragi. Citando personaggi letterari che ne sono creature, il mare è Ulisse, è Robinson Crusoe, è Lord Jim, sono i calamari giganti di Ventimila leghe sotto i mari, è la terribile prigione di Dantès, rinchiuso nel Castello d’If costruito su una roccia tra i flutti. Il mare è Moby Dick, è Martin Eden, è il set della café society di Tenera è la notte.

Soprattutto, il mare è fin troppo poco narrato rispetto alla quantità di storie che contiene. Pensiamo a quante voci silenziose potrebbero darci nuovi romanzi: sono le voci dei migranti che ancora non posseggono i mezzi per esprimersi, che non riescono a raccogliere parole scritte per raccontare le esperienze di morti e sopravvissuti.

Oltre che contenitore di storie già raccontate o ancora in nuce, oltre che meta di scrittori in fuga, il mare rappresenta anche la realizzazione immobiliare del lavoro letterario. Una misura del successo, e infatti i nomi che vi faremo sono perlopiù maschili: per secoli, le donne, anche se scrittrici molto note (poche) non hanno avuto col denaro guadagnato e con i beni che si possono acquisire lo stesso rapporto gestionale e costruttivo dei colleghi maschi. 

Iniziamo dallo scrittore britannico Somerset Maugham, che definiva la Costa Azzurra “un luogo soleggiato per gente losca” (e quindi straordinariamente proficua come punto di osservazione). Acquistò e fece sontuosamente ristrutturare una grandiosa villa in stile moresco, con parco annesso, a Saint-Jean Cap Ferrat. A La Maurescque, questo il nome della villa, ospitò negli anni altri celebri scrittori: T.S. Elliot, Ian Fleming, Virginia Woolf. Leggenda vuole che avesse fatto murare la finestra dello studio, da cui entrava l’accecante vista del mare. Come sa chiunque scriva, la bellezza distrae. Georges Simenon invece affittava una casa davanti alla Provenza, sull’isola di Porquerolles, mentre Romain Gary si era fatto costruire un’ambiziosa dimora a Maiorca. Tutti scrittori alla ricerca di un rifugio che servisse anche da esca creativa. La belga Marguerite Yorcenaur, prima donna eletta all’Académie française, era invece andata a rifugiarsi con la compagna in una grande casa di legno battezzata Petite Plaisance, sulla selvatica isola di Mount Desert nel gelido Maine. Sempre nel Maine, ma sul continente, abita l’epico scrittore Richard Ford, ogni anno inserito nelle liste dei probabili Nobel della letteratura. In un documentario dove racconta le sue origini nel Mississippi e la sua tecnica di scrittura, si vedono un prato disposto tra scogli tondeggianti, qualche arbusto piegato dal vento, l’oceano color asfalto e due cottage dove Ford conduce la propria esistenza eremitica: uno per dormirci e uno per scrivere. 

Tra il gran numero di case al mare dove si è presa delle pause l’esistenza di Ernst Hemingway, è magnifica quella di Key West, la più a sud delle isole Keys e comunque estrema propaggine della Florida e di tutti gli Stati Uniti, lanciata nell’oceano in direzione di Cuba. È in stile coloniale, su due piani, piena di stanze (e di gatti eredi di quelli dello scrittore). Però anche Hemingway non scriveva in casa, bensì in una dependance posta nel giardino. 

Pure Italo Calvino e Fruttero & Lucentini appartengono alla teoria degli scrittori che hanno cercato accanto all’acqua e nella vita senza orpelli, tra costume da bagno e macchina da scrivere, un taglio alla catena schiavizzante delle futili necessità urbane. Le loro ville in stile modernista sono a Castiglione della Pescaia, nel compound della pineta di Roccamare, dove si trova anche quella di Sandro Veronesi.

In questa piccola carrellata internazionale di sogni immobiliari con pendant letterario, domina però la futuristica villa di Malaparte a Capri, purtroppo non visitabile ma affittabile solo da grandi marchi internazionali per campagne pubblicitarie. Arroccata sul promontorio roccioso di Punta Massullo è un capolavoro dell’architettura razionalista. Chi è curioso può vederla in uno dei più famosi film di Godard, Il disprezzo (Le mèpris), trasposizione cinematografica del romanzo omonimo di Alberto Moravia. La villa è talmente cinematografica che contende il ruolo da protagonista a due star, gli attori Michel Piccoli e Brigitte Bardot. Sempre a Capri, anzi ad Anacapri, esiste un’altra casa di scrittore, la Villa San Michele del medico svedese Axel Munthe, con spettacolare vista sul golfo di Napoli e su Ischia. La storia di San Michele, il libro in cui Munthe racconta come dalla Svezia decise di trasferirsi ad Anacapri e costruire la villa, è stato un best seller mondiale, per anni più letto della Bibbia e del Corano. Munthe (morto a Capri nel 1952) fu un paladino antelitteram di quella che oggi chiamiamo comunità LGBTQ+, e, dopo che erano stati scacciati dall’hotel Quisisana, ospitò a lungo Lord Alfred Douglas e Oscar Wilde, uscito dal carcere dove aveva scontato la condanna per sodomia. 

Uno dei più citati scrittori italiani, Ennio Flaiano (il nostro Oscar Wilde, quanto a battute e aforismi memorabili), sempre in fuga dall’idiozia collettiva, arrivato attorno ai cinquant’anni pensò che l’unico rifugio possibile fosse la Svizzera. Perché sono tutti così scemi? si chiedeva senza riuscire a darsi una risposta. Figuriamoci adesso cosa penserebbe, vedendoci camminare, attraversare, guidare, sedere nei vagoni del metrò, stare in mezzo a una piazza o su una spiaggia, tutti immancabilmente con gli occhi incollati a un telefono. Dunque, Flaiano nel 1971 parte per il regno dei misantropi, quella Svizzera così ordinata, silenziosa, pulita, sottopopolata. È il momento di massimo fastidio per la vicinanza con altri esseri umani, il 31 dicembre. A Roma nel primo pomeriggio gli insopportabili botti del Capodanno hanno già cominciato ad annunciarsi con piccole esplosioni di prova, come tragiche avvisaglie della notte che sta per arrivare. Nel suo Diario degli errori, Flaiano ricorda così la partenza: “È da stamattina che stanno sparando, fuori. Cominciano a salutare l’anno nuovo. Alle due del pomeriggio è già pericoloso girare per strada. La mia idea di partire alle nove per non assistere alla baraonda e passare così la notte dell’ultimo dell’anno in treno non ha più senso. Ma partiamo lo stesso. Non si trovano taxi. Ci accompagna un amico. Alla stazione non si trovano portabagagli, c’è un vecchio che fa il portabagagli abusivo e chiede una somma spropositata per portare al treno col suo carretto le nostre valigie. Benissimo. Nella stazione sparano e si sente, nelle pause, il borbottio di tutta la città che spara, nei quartieri vicini e più lontani. Non si capisce perché. Sfugge tutto. Forse sbagliamo noi a non accettare il punto di visto della maggioranza. Sparare per sentirsi che cosa? Più forti, più allegri, più mandolinisti? Non si capisce. Il treno infine è una soluzione. Alle undici della mattina dopo arriviamo a Montreux. La stazione è deserta. Il giovane portabagagli si toglie il berretto e tenendolo tra le due mani ci dice: ‘La coincidenza parte tra un’ora. Dieci minuti prima troverete il vostro bagaglio sul treno. Avete tempo di fare un giro per la città o per andare al caffè. Ce ne sono due. Uno nell’interno della stazione, l’altro di fronte. Grazie”. E se ne va con un accenno di inchino. La città è deserta. Un sole pallido sfiora la nebbia del lago. Cigni, anatre e gabbiani lungo la riva. Passeggio tranquillo”.

Del resto, già Vladimir Nabokov aveva scelto la città lacustre per ritirarsi con la moglie Vera. Aveva preso casa all’ultimo piano dell’Hotel Palace di Montreux, una specie di Arcadia alberghiera che lo avrebbe liberato di ogni possibile fastidioso pensiero organizzativo. Era così entusiasta della soluzione alberghiera con vista, che ci visse per tutti gli ultimi sedici anni della vita.

Ma Flaiano, dopo i primi momenti di sollievo svizzero-lacustre si fa prendere dal male di vivere, e per lui, uomo dell’Adriatico nato a Pescara, arriva subito l’insofferenza: il disagio non gli dà tregua. Finisce così che torna a casa, e conclude che Fregene è l’unico luogo dove ancora si possa fuggire. Ed è proprio davanti al mare di Fregene, sulla spiaggia di Passoscuro, che è ambientata la malinconica scena finale di La dolce vita, il suo capolavoro di sceneggiatore. Ed è sempre a Fregene che a Marziano, protagonista di Un marziano a Roma, fa raccogliere conchiglie sulla spiaggia; e dove, parlando di sé in La solitudine del satiro conclude che là “si osserva l’insensata realtà del tempo”. Solo al mare, passeggiando sulla spiaggia deserta, “piena di sole ma battuta dal vento” ci si rassegna all’inevitabile scacco finale. 

Infine, per dare completezza ai sogni marini degli scrittori, facciamo una capriola temporale e retrocediamo di un millennio. Nel 1185, tornando dal pellegrinaggio alla Mecca verso Granada, il letterato musulmano Ibn Jubayr approda in Sicilia. Il viaggio è stato disastroso: naufragi e nubifragi. Per caso, sulla rotta del ritorno ecco l’isola non più araba ma governata dai cristiani normanni, da quel Guglielmo II che sovvenziona lo sbarco dei più malridotti e miserabili musulmani, andandoli a prendere con le barche sulle coste del nord Africa. Il viaggiatore documenta tutto quello che vede in un avvincente diario (Viaggio in Sicilia) e soprattutto notiamo la sua meraviglia e la sua stizza. Le città costiere che visita – Messina, Cefalù, Termini, Palermo, Alcamo, Trapani “in balia del mare che la cinge da tre lati” – ogni volta gli fanno esclamare: “Dio la restituisca”! (ai musulmani, va da sé). Oppure: Dio la riconquisti! E il refrain riguarda anche le donne che le abitano: “Dio le faccia prigioniere dei musulmani!”.